Crollo ponte Morandi, chiesti 18 anni e sei mesi per l’ex ad di Autostrade Castellucci. I pm: “Molti reati prescritti, ma la sua colpa è massima”

Archivio, Genova, Crolla Ponte Morandi, il ponte dell’autostrada A10.

La Procura di Genova ha chiesto 18 anni e sei mesi di reclusione per Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, nel processo per il crollo del ponte Morandi, il viadotto dell’A10 collassato il 14 agosto 2018, causando la morte di 43 persone. È la prima e più pesante delle richieste di condanna formulate dai pubblici ministeri Walter Cotugno e Marco Airoldi, che da giugno a oggi hanno tenuto una requisitoria fiume lunga quattro mesi.

Castellucci risponde di omicidio stradale plurimo e crollo colposo, mentre per l’accusa di attentato alla sicurezza dei trasporti la Procura ha chiesto l’assoluzione. La pena proposta, ha spiegato Cotugno, corrisponde al massimo previsto dalla legge, con un aumento di due mesi e venti giorni per ciascuna delle 43 vittime. “Se non a Castellucci, quando, a chi bisognerebbe dare il massimo della pena?”, ha domandato in aula il magistrato, sottolineando che “tutti gli indicatori per lui sono negativi”.

L’ex top manager, nominato nel 2006 dalla famiglia Benetton, allora azionista di maggioranza di Autostrade, non era presente in aula: si trova nel carcere di Opera, dove sta scontando una condanna definitiva a sei anni per la strage di Avellino del 2013, nella quale morirono quaranta persone.

L’udienza è stata interamente dedicata alla sua figura. “A suo carico – ha detto il pm Airoldi – c’è un’enciclopedia di elementi negativi, tutti uno più grave dell’altro. Siamo al massimo livello di colpa possibile”. Le motivazioni, secondo l’accusa, risiedono nel profitto personale e nella ricerca del successo manageriale: “Questi reati sono stati commessi per ambizione, per prestigio, per i benefits, per garantire agli azionisti dividendi enormi. Era un uomo che voleva sempre fare le cose più grandi, più redditizie, anche a costo di accettare rischi enormi sulla sicurezza delle infrastrutture”.

Airoldi ha usato un’immagine destinata a restare impressa: “Castellucci era come Lord Voldemort, non si poteva neppure nominare. Aveva creato un clima di paura e di deferenza tale che i suoi collaboratori, quando scrivevano il suo nome, mettevano solo dei puntini”.

Secondo la Procura, l’ex amministratore delegato di Aspi sapeva perfettamente delle criticità strutturali del ponte Morandi, documentate in numerosi report tecnici e segnalazioni interne, ma non intervenne per evitare di interrompere la redditività della rete autostradale. “Dopo Avellino e i suoi 40 morti, Castellucci cosa fa? – ha detto il pm Cotugno –. Continua a disporre le ispezioni e le manutenzioni nello stesso modo, senza cambiare nulla. Accetta il rischio e lo mette a bilancio”.

Il processo, iniziato a luglio 2022, è tra i più complessi mai celebrati in Italia. Gli imputati sono 57, accusati a vario titolo di omicidio e disastro colposi, omicidio stradale aggravato, crollo doloso e falso. L’obiettivo della Procura è chiudere con la sentenza di primo grado entro l’estate del 2026, dopo gli interventi delle parti civili e delle difese.

Molti reati, ha ammesso lo stesso pm Cotugno, risultano ormai prescritti, ma per la Procura questo non cambia la sostanza morale e storica del processo. “Chiederemo molte assoluzioni per intervenuta prescrizione – ha spiegato – ma qualunque decisione venga presa, imputati, difese e collettività avranno bisogno di capire il perché. È questo che dobbiamo consegnare alla storia: la consapevolezza di ciò che è accaduto e di chi aveva il dovere di impedirlo”.

Le due società inizialmente coinvolte nell’inchiesta, Aspi e Spea, sono uscite dal processo grazie a un patteggiamento da 30 milioni di euro, con cui hanno risarcito quasi tutte le famiglie delle vittime. Tuttavia, la Procura ha sempre sostenuto che la responsabilità penale personale degli ex vertici non potesse essere cancellata da un accordo economico.

Durante la lunga requisitoria, Cotugno ha ricordato il significato di quel crollo, definendolo “la più grave tragedia infrastrutturale della storia repubblicana”: “Non siamo abituati a un livello di gravità simile. In un reato colposo non abbiamo mai avuto così tante vittime. Ci troviamo davanti a un caso che riguarda la fiducia stessa dei cittadini nelle istituzioni e nella sicurezza delle opere pubbliche”.

Le famiglie delle vittime, che da anni seguono ogni udienza, hanno accolto la richiesta con compostezza ma anche con un senso di riscatto. “Siamo frastornati ma soddisfatti – ha dichiarato Egle Possetti, portavoce del Comitato in ricordo delle vittime –. Il pm ha messo in fila le responsabilità e la cecità di fronte a problemi noti da anni. Questa richiesta è per noi un passo importante, anche se sappiamo che Castellucci, per età e condizioni, potrà ottenere benefici. Ma quello che conta è che la giustizia riconosca la verità”.

La difesa, per voce dell’avvocato Guido Carlo Alleva, ha invece definito “inaccettabile” la richiesta dei pm: “È una pena spaventosa, che inorridisce. Oggi ho sentito espressioni e valutazioni personali sulla vita privata di Castellucci che non dovrebbero mai entrare in un processo penale. Si tratta di reati colposi, non di processi morali. Noi esporremo le nostre argomentazioni, ma è già chiaro che qui si sta travalicando il perimetro della giustizia”.

A distanza di più di sette anni da quel 14 agosto, Genova attende una verità giudiziaria che possa affiancarsi a quella storica e civile. Il processo al ponte Morandi non è solo un’inchiesta su un crollo, ma un giudizio su un modo di intendere la gestione delle infrastrutture pubbliche. Come ha detto il pm Cotugno in chiusura della sua requisitoria: “Non sappiamo quale sia la pena giusta, ma sappiamo che la legge esiste proprio per tutelare chi non ha più voce. E quarantatré persone oggi non possono più parlare”.