Dalla guerra di Corea al soglio di Pietro: Lazzaro You, il cardinale che si battezzò di nascosto e parla al mondo di riconciliazione

di Luca Arnaù

Quando si è fatto battezzare, aveva sedici anni e una piccola bugia in tasca. Disse ai suoi che avrebbe provato l’ingresso all’università di Seul, quella laica e prestigiosa. Invece tentò il seminario. A guidarlo, non fu un colpo di fulmine, ma quella specie di fame sottile che prende chi ha perso qualcosa troppo presto. Nel caso di Lazzaro You Heung-sik, la perdita aveva il volto di suo padre: morto in guerra, combattendo contro “i fratelli del Nord”. Lazzaro non fece in tempo nemmeno a conoscerlo.

Era il 1951, la Corea era solo un cumulo di macerie e odio congelato lungo il 38° parallelo. Lui nacque a Nonsan, quarto figlio in una famiglia già segnata. E crebbe con quella domanda che spesso hanno gli orfani: chi sarei stato, se ci fosse stato anche lui? È possibile che la vocazione sia nata lì, in quel vuoto. Ma Lazzaro — nome scelto al battesimo, perché si sentiva un “risuscitato” — non ha mai cercato scuse. Ha studiato, ha fatto il servizio militare come tutti. Due anni da soldato, proprio là, sul confine con la Corea del Nord, nella zona dove la guerra non finisce mai davvero.

Avrebbe potuto restare lì, come tanti. Ma scelse di salire. La teologia, la filosofia, l’incontro con la Chiesa cattolica che in Corea è ancora minoranza ma sa parlare alle coscienze. E soprattutto, scelse di essere ponte, non bastione. Se oggi si parla di lui come possibile futuro Papa, è perché ha fatto della riconciliazione non un discorso, ma una biografia. Da vescovo di Daejeon ha attraversato la frontiera più blindata del mondo per ben quattro volte, entrando nella Corea del Nord. Non per trattare, ma per ascoltare. Non per giudicare, ma per portare la pace. Una pace concreta, non retorica.

Nel 2014, quando papa Francesco visitò la Corea del Sud, lo notò. C’era qualcosa in quel vescovo: una calma da monaco e una forza da generale disarmato. Francesco non se lo dimenticò. Lo chiamò a Roma, lo volle vicino. Nel 2021 lo nominò prefetto del Dicastero per il Clero. E l’anno dopo lo fece cardinale. Da allora, Lazzaro vive nei corridoi vaticani, ma resta con lo sguardo rivolto a Oriente.

Nel cuore, ha una visione: cinquecentomila giovani di tutti i continenti, mano nella mano lungo la linea del 38° parallelo. Una catena umana per dire che la guerra non è il destino, che la fratellanza non è una parola vuota. È anche grazie a lui se la Giornata mondiale della gioventù del 2027 si terrà in Corea del Sud. Ma Lazzaro non la racconta come un evento. La racconta come una preghiera esaudita.

Chi lo conosce dice che non cerca consensi. Non ama parlare in pubblico, preferisce l’ascolto. Ma quando parla, lo fa con la voce di chi ha camminato nel buio. Racconta di quando cercava di spiegare la resurrezione ai suoi compagni ebrei all’università, e non ci riusciva. “La resurrezione non si spiega — dice — si incontra”. Racconta della fede semplice di sua madre, di come da bambino imparava il catechismo senza capirlo. Ma anche di come, oggi, il problema non è più sapere le risposte. È non avere più le domande.

Non crede in una Chiesa che si adatta al mondo, ma nemmeno in una che alza muri. Crede in una comunità viva, dove la liturgia è un’esperienza e non una routine. Dove il cristianesimo non è una religione, ma un modo di stare al mondo. Dove il Vangelo è ancora capace di far sorgere quelle “domande irresistibili” di cui parlava Paolo VI. E soprattutto, crede che in un’epoca che ha perso la coscienza di Dio, il compito della Chiesa non sia difendersi, ma tornare a parlare del Risorto.

Nel Conclave che si prepara, molti lo considerano un outsider. Ma forse è proprio questo il punto. Non viene dalle cordate europee, non ha sponsor potenti. Ma ha qualcosa che il mondo, oggi, riconosce subito: la credibilità. L’ha costruita vivendo in una terra di frontiera. L’ha nutrita nelle solitudini di un’Asia che conosce la guerra ma anche la resistenza. L’ha mostrata ogni volta che ha parlato di Dio senza fronzoli, come un uomo che non ha bisogno di convincere, perché crede davvero.

Se sarà lui il prossimo Papa, sarà un pontefice che non divide. Un figlio dell’Oriente che guarda all’Occidente. Un Lazzaro risorto che porta la pace.