De Niro, doppia festa a Roma: “L’America ne ha abbastanza di Trump. Roma è un’opera d’arte vivente”

Robert De Niro torna a Roma e lo fa come solo lui può: da protagonista. Una doppia celebrazione, tra passato e presente, arte e politica. Da un lato la Lupa Capitolina consegnatagli in Campidoglio dal sindaco Roberto Gualtieri, riconoscimento alla carriera e all’amore per l’Italia. Dall’altro, l’inaugurazione del primo Nobu Hotel & Restaurant in via Veneto, simbolo di un nuovo capitolo imprenditoriale. E, sullo sfondo, la vittoria elettorale del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, che l’attore definisce “un segno di speranza, un passo concreto per liberare l’America dal mostro politico chiamato Trump”.

“È un cambiamento molto importante – spiega De Niro, 82 anni, nel suo italiano punteggiato da inflessioni newyorkesi –. Per anni abbiamo sperato, sempre sperato, che ci fosse un’occasione per fermarlo. Ma Trump è sempre riuscito a sfuggire a tutto. Non basta più sperare: è un problema che deve essere risolto. Ora le persone lo stanno capendo. L’opposizione a lui, a ciò che rappresenta, a come ha degradato il nostro Paese, è sempre più forte. L’America ne ha abbastanza. È tempo di scrollarcelo di dosso”.

Parole dure, pronunciate in un momento di grande attenzione politica negli Stati Uniti, ma anche di leggerezza romana. Perché De Niro, tra un commento e l’altro, sorride, firma autografi e si concede ai flash all’uscita dal Campidoglio. “Sono felice di essere qui, Roma è più di una città: è un’opera d’arte vivente. Ogni pietra, ogni pasto, ogni sguardo racconta una storia. Essere riconosciuto in un luogo che ha dato tanto al mondo è davvero commovente”.

Nell’aula Giulio Cesare, la cerimonia si svolge a porte chiuse, per rispetto del lutto cittadino proclamato dopo la morte dell’operaio Octav Stroici. Poche parole, molti applausi. “La mia famiglia ha radici in Italia – aggiunge l’attore – e questo riconoscimento ha un valore speciale. Ho sempre sentito una profonda connessione con questo Paese, con la sua passione, la sua artigianalità, la sua capacità di ispirare gli artisti. Grazie Roma, per la tua generosità e il tuo cuore”.

Nel pomeriggio, De Niro incontra Gualtieri in un colloquio privato. Si parla di cinema, del legame con la Capitale, dei giorni della “Hollywood sul Tevere”. Il ricordo va a Sergio Leone e al set di C’era una volta in America, girato in parte a Roma. “Il primo giorno di riprese fu qui – racconta –. Lavorammo per un anno intero. Ricordo la dedizione con cui Sergio cercava un’immagine che rappresentasse l’ingresso nella città. Alla fine trovò quella della metropolitana con i graffiti, diventata iconica. Roma è una città italiana ma universale, un luogo dove il cinema trova sempre casa”.

Domani, al Cinema Moderno, il film verrà celebrato nella versione restaurata in 4K. De Niro parteciperà alla proiezione speciale coordinata dall’assessore Alessandro Onorato. “Arnold Milchand, il produttore, mi inseguiva da tempo – racconta –. Io avevo già incontrato Sergio anni prima, forse con Gérard Depardieu. Voleva entrambi nel film. Poi lessi il libro da cui nasce la sceneggiatura e capii che era materiale autentico, scritto da qualcuno che conosceva davvero quel mondo: il Lower East Side, la comunità ebraica, i gangster. Sergio lo trasformò in qualcosa di suo. La sua passione era contagiosa. Alla fine dissi: d’accordo, lo faccio”.

Ma il ritorno romano è anche imprenditoriale. Nobu, il brand globale fondato da De Niro insieme allo chef giapponese Nobu Matsuhisa e al produttore Meir Teper, apre il suo primo hotel italiano proprio nel cuore della Dolce Vita. Via Veneto, 117 camere firmate dallo studio Rockwell Group, linee pulite, pietra, legni chiari e luce naturale. “Roma meritava un luogo come questo – commenta l’attore –. Eleganza, semplicità, armonia con la città”.

L’apertura è scandita dal Kagami Biraki, il rito giapponese della rottura del coperchio della botte di saké con piccoli martelli cerimoniali, simbolo di buon auspicio. Brindano insieme De Niro, Matsuhisa e Teper. Il gesto, ripetuto a ogni apertura del gruppo, qui assume un valore speciale: una connessione tra Oriente e Occidente che si riflette nel cuore pulsante del cinema romano.

L’attore, oggi più che mai, incarna il ponte tra mondi diversi: la star hollywoodiana che parla come un artigiano italiano, l’attivista politico che difende il cinema come forma di umanità. “Sono un americano, ma anche un po’ romano – dice sorridendo –. Ogni volta che torno, ritrovo me stesso. Forse perché qui l’arte non si guarda soltanto: si respira”.

La due giorni romana si chiuderà con la proiezione di C’era una volta in America e una cena privata al Nobu di via Veneto, dove l’attore brinderà con amici e colleghi al nuovo corso della sua carriera. Tra un omaggio al passato e una stoccata al presente politico, De Niro sembra aver trovato la formula perfetta per restare protagonista: credere ancora nel cinema, ma non smettere di parlare al mondo reale.