Non è esattamente la celebrazione che la Casa Bianca aveva immaginato. Nel giorno in cui Donald Trump brindava al primo anniversario del suo secondo mandato, i Democratici hanno piazzato un trittico di successi simbolici: Zohran Mamdani a New York, Mikie Sherrill in New Jersey e Abigail Spanberger in Virginia. Tre vittorie diverse, accomunate da un messaggio politico che risuona forte nell’America polarizzata del dopo-Biden: l’opposizione non arretra, e in alcuni luoghi-chiave rialza la testa.
New York, che già nel 2020 aveva flirtato con una sinistra più radicale, consegna le chiavi di Gracie Mansion a un socialista dichiarato, primo sindaco musulmano e sud-asiatico della città. Mamdani, ex deputato e volto emergente della sinistra giovane e organizzata, rappresenta un laboratorio politico in cui militanza, identità e rivendicazione sociale si fondono. La sua vittoria arriva proprio nei quartieri dove Trump, nel 2024, aveva rosicchiato consensi decisivi grazie all’appeal verso elettori senza laurea e alcune minoranze. Lo stesso bacino che stavolta, almeno a New York, ha trovato nella figura del quarantenne attivista un’alternativa credibile.
Sul versante governatori, Sherrill diventa la prima donna a guidare il New Jersey, mentre Spanberger fa altrettanto in Virginia, Stati che negli ultimi anni hanno oscillato tra i due poli, riflettendo la cartografia instabile dell’America suburbana. Per i Democratici è un segnale di resistenza istituzionale, in due territori cruciali per la costruzione dei futuri equilibri federali. A completare il quadro, in California passa un referendum che consente al governatore Gavin Newsom di ridisegnare i distretti federali a beneficio del partito, mentre in Georgia due democratici ribaltano le previsioni conquistando seggi nella Public Service Commission, l’ente che sovrintende infrastrutture e utility.
Un mosaico di successi che, pur non ribaltando gli equilibri nazionali, incrina la narrazione di un trumpismo incontrastato. L’attuale presidente, eletto nel novembre 2024 con il 49,8% dei voti popolari e 312 grandi elettori, contava su questo anniversario per ribadire la propria centralità, forte del ritorno alla Casa Bianca dopo la sconfitta del 2020. Invece, dagli avversari arriva una contro-scena compatta: entusiasmo giovanile, candidati preparati, narrazione inclusiva e un’agenda che guarda alla giustizia sociale e ai servizi pubblici in un Paese ancora segnato dalle fratture pandemiche e dalle diseguaglianze crescenti.
Non mancano però interrogativi per i Democratici. Come trasformare una notte di risultati incoraggianti in una strategia per il Midterm del 2026? E, soprattutto, come mantenere l’equilibrio tra la spinta idealista della nuova generazione e la cautela moderata dei baby boomers che restano fondamentali nelle urne? Il rischio è quello di oscillare tra due identità: il partito della redistribuzione e dei diritti, incarnato da figure come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, e quello rassicurante, erede dell’era Clinton-Obama, che teme derive ideologiche e fughe al centro degli elettori indipendenti.
Trump, dal canto suo, non perde occasione per tornare a occupare la scena. “Se ci fossi stato io sulle schede, non si perdeva”, ha commentato con tono amaro, usando la vittoria socialista a New York come piattaforma per galvanizzare la base populista e dipingere gli avversari come un pericolo per “l’America che lavora”. La tattica è chiara: trasformare Mamdani nel volto di un Partito Democratico “troppo a sinistra”, sperando di compattare moderati e conservatori in vista delle prossime sfide elettorali.
I sondaggi raccontano però un Paese in mutazione. Secondo rilevazioni del Cato Institute, circa il 40% degli elettori americani ha oggi una visione favorevole del socialismo, percentuale che sale al 62% tra gli under 29. Numeri che certificano un cambiamento generazionale e culturale, invisibile ai radar di una parte dell’élite politica e mediatica. Non è detto che si traduca automaticamente in maggioranze stabili, ma segnala un terreno di confronto nuovo, dove parole come welfare, diritti sociali e giustizia climatica non sono più tabù.
Il primo anniversario del secondo mandato di Trump consegna dunque un paradosso: il presidente celebra, ma è l’opposizione a dettare la notizia. Ed è forse questa la fotografia di un’America che non ha ancora scelto il suo futuro, ma che non è disposta a farselo raccontare da un solo volto, neppure quando quel volto occupa lo Studio Ovale.







