Nel cuore del weekend dell’Independence Day, mentre l’America grigliava hamburger e accendeva fuochi d’artificio, Elon Musk ha acceso un incendio politico. Dalla sua piattaforma X, ex Twitter, il miliardario ha proposto la creazione di una nuova formazione: il “Partito dell’America”. E non si tratta solo di uno sfogo online, ma di una strategia calcolata, diffusa da un uomo che possiede satelliti, fabbriche di auto e una platea di oltre 220 milioni di follower.
“Dovremmo creare un America Party?” ha chiesto Musk ai suoi utenti. Non un sondaggio qualunque, ma una chiamata alle armi digitale. La risposta? Un plebiscito: oltre 1 milione e 248mila voti, con il 65,4% favorevole alla nascita della nuova forza politica. Nessuna terza opzione, nessun forse: Musk ha posto una scelta netta, come nello stile che lo ha reso il CEO più amato e più detestato del pianeta.
La provocazione, che ha tutto il sapore di una dichiarazione d’intenti, è arrivata a poche ore dall’approvazione della legge di bilancio voluta da Trump, con un aumento del deficit federale da 2.000 a 2.500 miliardi. Un disastro, secondo Musk, che ha attaccato l’ex amico definendolo uno dei responsabili della bancarotta incombente. Il sarcasmo non è mancato: ha ribattezzato i Repubblicani “Porky Pig Party”, il partito del porcellino, evocando l’imbarazzato balbettio dei cartoon Warner Bros.
Dietro la rottura c’è molto più di un post arrabbiato. Il piano esiste e prende forma nei dettagli tecnici snocciolati proprio su X: “Puntiamo su due o tre seggi al Senato e otto o dieci alla Camera”, ha scritto Musk. L’obiettivo? Rendersi decisivi, essere l’ago della bilancia su ogni legge divisiva. E c’è di più: secondo Grok, l’intelligenza artificiale integrata nella piattaforma, l’America Party potrebbe ottenere tra il 5 e il 10% dei voti, togliendo ossigeno ai Repubblicani in diversi Stati cruciali come Pennsylvania, Georgia, Arizona, Wisconsin, Michigan e Nevada.
Musk non ha mai nascosto le sue simpatie politiche. È stato vicino a Trump, poi sempre più distante, tra scuse per insulti reciproci e accuse gravi come la pedofilia, poi ritrattate. Ma oggi la distanza è abissale. Il “Partito dell’America” è un atto di guerra più che un progetto costruttivo: serve a indebolire l’ex alleato e a spaccare il fronte conservatore. E serve anche a misurare il polso dell’elettorato in vista del 2028, quando Musk potrebbe sostenere — o addirittura incarnare — una nuova candidatura.
L’idea non è del tutto originale, ma ha un sapore contemporaneo. È un partito fluido, modellato sull’intelligenza artificiale, sul consenso istantaneo e sul principio di disintermediazione totale. Nessun comizio, niente sezioni locali o tessere. Basta un algoritmo. La politica, secondo Musk, si fa come si fa un lancio spaziale: calcolando traiettorie, margini, potenza.
Chi lo prende sottogamba rischia. Trump, che sta già fronteggiando una fronda interna guidata anche dal figlio Eric e dal vicepresidente J. D. Vance, si ritrova ora a dover contenere un rivale potenzialmente pericoloso, soprattutto sul piano della comunicazione e del denaro. Perché se c’è una cosa che Elon Musk non deve chiedere a nessuno, sono i finanziamenti elettorali. Con un patrimonio personale stimato da Forbes in 405 miliardi di dollari, potrebbe permettersi di autofinanziare una campagna in tutti e cinquanta gli Stati senza battere ciglio.
Non tutti, ovviamente, applaudono. Steve Bannon, ex stratega di Trump, ha affondato il colpo: “Non sei americano. Sei sudafricano”. Una battuta velenosa, che sottolinea come la carta d’identità resti un’arma retorica potentissima nella politica statunitense. Ma a Musk importa davvero? Difficile dirlo. Quello che conta, per lui, è il potere d’influenza. E quello, lo ha già in tasca.
In fondo, il vero partito che Elon Musk ha costruito in questi anni è la sua community. Una massa in crescita costante, reattiva e fedele, capace di decidere se comprare un’auto, una criptovaluta o, da oggi, anche un candidato.
Una folla che, per la prima volta nella storia americana, potrebbe votare non un uomo o un programma, ma un’idea liquida e virale: quella che la politica, come tutto il resto, può essere disegnata da un algoritmo e venduta come un aggiornamento software.