Nina Burleigh non usa giri di parole: «Epstein era un predatore e un pappone, certo, ma non si è trattato mai solo di ragazze». La giornalista americana, che da anni analizza la rete di relazioni, affari e protezioni costruita dal finanziere morto suicida in carcere nel 2019, ha rilasciato una lunga intervista a La Stampa, tornando sui documenti che il Congresso ha deciso di desecretare e che promettono di riaprire una delle vicende più oscure della politica americana contemporanea.
Burleigh, autrice del libro The Trump Women. Part of the Deal e di un documentario su Ghislaine Maxwell, da tempo dedica la sua newsletter American Freakshow a interpretare migliaia di pagine di atti, e-mail, archivi e appunti associati al caso. La sua lettura è semplice: nessuno ha ancora compreso fino in fondo quanto fosse estesa la rete di relazioni che ruotava intorno a Epstein.
Nel corso dell’intervista ricorda che la declassificazione dei documenti rappresenta solo l’inizio di un processo lento e complesso: «Ammettendo che il Dipartimento di Giustizia non usi la scusa dell’inchiesta in corso e che il materiale sia pubblicato per intero, ci vorrà del tempo per decifrarlo. Stiamo parlando di migliaia di pagine che usciranno goccia dopo goccia.
Ci saranno ritardi e forse Trump avrà il tempo di distrarre e spostare di nuovo la narrazione su qualcos’altro, come fa spesso, anche se in questo caso con scarsi risultati». Secondo Burleigh, la fase più delicata non riguarda tanto l’aspetto sessuale — ormai noto — quanto la dimensione economica e politica che legava Epstein a una porzione molto influente dell’élite americana.
Alla domanda su cosa possa emergere di realmente inedito, la giornalista risponde: «Riguardo lo scandalo sessuale non credo verrà fuori niente di nuovo dal fatto che, per esempio, Bill Clinton abbia volato sul suo aereo. Forse alcune ragazze hanno parlato tra di loro e fatto nomi che ancora non sappiamo: Thomas Massie ha fatto un elenco di altri 19 uomini che sarebbero implicati. Ma quello che davvero verrà fuori è la rete infinita di contatti di Epstein e i nomi di chi faceva affari con lui, verranno fuori i bonifici, i favori, gli scambi.
In una parola: la corruzione». Per Burleigh, dunque, la vera partita è quella economica: transazioni, conti offshore, rapporti professionali opachi, fondazioni e triangolazioni societarie che avrebbero permesso al finanziere di rendersi indispensabile a figure potenti di diversi ambienti.
Non mancano i riferimenti a personaggi già noti all’opinione pubblica: «Gente come il miliardario Leon Black, del cui rapporto con Epstein sappiamo già molto, ma non tutto. O come Kathy Ruemmler, consigliera generale di Goldman Sachs con uno stipendio di 25 milioni all’anno. Dalle mail che sono già state rese note sappiamo che lei ed Epstein si sono scambiati messaggi fino al 2018, con toni molto amichevoli.
Immagino anche rivelazioni relative alla attività off-shore di Epstein e a come i governi lo usavano come intermediario». Un passaggio particolarmente sensibile perché rimette al centro la domanda che accompagna da anni il caso: Epstein agiva solo per sé, o era un nodo di un sistema più vasto che includeva affari, politica e intelligence?
Sulla definizione di “deep state”, Burleigh è prudente ma non elusiva: «È una élite che trovava Epstein affascinante e utile in modi che stiamo ancora cercando di comprendere. Loro sanno chi sono. Sono rimasti lì seduti ad aspettare questo momento con orrore, perché quando tutto verrà fuori, queste persone verranno smascherate come parte del circolo intimo di un pedofilo». È uno dei passaggi più duri dell’intervista, perché chiama in causa non solo responsabilità individuali ma il contesto che avrebbe protetto Epstein per decenni, fino agli ultimi anni della sua vita.
I riflessi politici non mancano, soprattutto per il presidente Donald Trump, a cui Burleigh dedica particolare attenzione: «[…] qualora Trump non possa più contare sul sostegno di prima da parte dei deputati repubblicani per i quali il caso Epstein è diventato troppo disgustoso per farlo digerire ai loro costituenti. In una situazione simile potrebbe esserci un altro impeachment». È una valutazione che fotografa il clima attuale negli Stati Uniti, dove la pubblicazione dei documenti rischia di innescare una reazione a catena imprevedibile nel campo repubblicano.
Il quadro si completa con le posizioni di altri funzionari e figure istituzionali coinvolte, direttamente o indirettamente, nell’affaire. Burleigh parla apertamente del direttore dell’Fbi: «Il direttore dell’Fbi Kash Patel potrebbe venire smascherato come un bugiardo». E solleva dubbi pesanti sulla procuratrice generale: «Per quanto riguarda la procuratrice generale degli Usa, Pam Bondi, mi stupisce che nessuno abbia sottolineato, a parte il deputato Jamie Raskin, che il Distretto Federale Meridionale di New York ha avuto un caso aperto sui complici di Epstein per tutto il 2024, e che è stato chiuso a gennaio 2025 per ordine dell’amministrazione Trump. Lo trovo incredibilmente sospetto». La sensazione, ascoltando Burleigh, è che l’apertura degli archivi potrebbe non solo riscrivere la cronologia del caso Epstein, ma ridefinire un intero pezzo di potere americano. Le risposte







