Una svolta storica per i diritti delle famiglie arcobaleno arriva dalla Corte Costituzionale: è incostituzionale impedire alla madre non biologica – la cosiddetta madre intenzionale – di essere riconosciuta come genitore del figlio nato in Italia, se il concepimento è avvenuto tramite procreazione medicalmente assistita (PMA) effettuata all’estero (perché in Italia è ancora vietato!).
In parole semplici, se due donne decidono insieme di diventare madri attraverso la PMA in un Paese dove questa pratica è consentita anche alle coppie omosessuali, entrambe – non solo la madre che ha partorito – devono poter essere riconosciute come genitori fin dalla nascita del bambino.
Lo ha sancito la Corte costituzionale affermando che l’articolo 8 della legge numero 40 del 2004 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. La sentenza numero 68, depositata oggi, ha ritenuto quindi fondate le relative questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca.
Cosa ha stabilito la Corte?
La Corte ha giudicato illegittimo l’articolo 8 della legge 40/2004 – quella che regola la PMA in Italia – perché non tutela adeguatamente il diritto del minore ad avere fin da subito due figure genitoriali, se entrambe hanno espresso consenso al concepimento e si sono assunte la responsabilità di crescere quel figlio.
Secondo i giudici, il mancato riconoscimento giuridico della madre intenzionale:
- viola l’articolo 2 della Costituzione, perché danneggia l’identità personale del bambino e non garantisce un legame giuridico stabile con entrambi i genitori;
- viola l’articolo 3, per l’irragionevolezza della norma che esclude questo riconoscimento, senza un valido motivo di rango costituzionale;
- e lede anche l’articolo 30, che sancisce il diritto del minore ad avere tutela e responsabilità da entrambi i genitori.
La Consulta ha chiarito che non sta modificando le regole per accedere alla PMA in Italia, ma interviene per sanare una discriminazione ai danni dei figli nati da una procedura legale all’estero e da una scelta condivisa da entrambe le madri.
Una decisione basata sul diritto dei bambini
Alla base della sentenza ci sono due elementi fondamentali: l’impegno condiviso della coppia nell’assumersi la genitorialità e, soprattutto, l’interesse del bambino a godere di pieni diritti verso entrambi i genitori.
Infatti, negare il riconoscimento della madre intenzionale significa privare il figlio del diritto a “essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori”, ma anche del diritto a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con entrambe le figure genitoriali, e con i rispettivi familiari.
PMA per le donne single: la Corte lascia la porta aperta al Parlamento
La Corte si è espressa anche su un’altra questione molto dibattuta: il divieto per le donne single di accedere alla PMA in Italia. Con la sentenza n. 69, ha confermato che il limite attuale non è incostituzionale, pur non escludendo che in futuro il legislatore possa cambiarlo.
“Il legislatore può estendere la PMA a single”, si legge infatti nel testo della sentenza. Secondo la Consulta, il Parlamento può decidere di includere anche le donne sole tra coloro che hanno diritto a ricorrere alla procreazione assistita, ma non è obbligato a farlo. La scelta attuale, pur limitando l’autodeterminazione femminile, non è irragionevole alla luce del principio di precauzione: il legislatore, cioè, ha voluto tutelare i bambini concepiti evitando, per ora, di avallare contesti in cui la figura paterna è assente fin dall’inizio per scelta.
La Corte sottolinea comunque che questa è una scelta politica, non giuridica: in altre parole, spetta al Parlamento – non ai giudici – decidere se e quando aggiornare la normativa.
Una decisione che indubbiamente oltrepassa gli ideali e i divieti del Governo Meloni su PMA. Ma questa sentenza, rappresenta molto più di una vittoria giuridica: è un passo concreto verso una società più inclusiva. È un segnale di speranza per tutte le famiglie arcobaleno che da anni lottano per essere rispettate e tutelate. Che questa svolta storica possa tradursi in maggiore serenità, stabilità e amore per tutti i bambini, e che apra la strada a nuove conquiste di uguaglianza e dignità.