Per mesi, la narrativa del Cremlino ha vantato una Russia solida, anzi prospera, malgrado la guerra e le sanzioni. Ma bastano poche parole, pronunciate da Elvira Nabiullina, a fare crollare l’impalcatura: “Abbiamo utilizzato risorse gratuite. Ora sono finite”. La frase è arrivata al Forum economico internazionale di San Pietroburgo, con la calma fredda di chi sa che sta dicendo qualcosa di enormemente scomodo.
Il meccanismo era semplice: usare fondi straordinari e riserve fiscali per drogare la crescita, mantenere un’illusione di stabilità, pompando l’industria bellica e sostenendo artificialmente l’occupazione. Ma quel carburante si è esaurito. E con esso, si spengono anche i motori della narrazione. Secondo Massimiliano Di Mario, analista e autore del blog “The Bading News of the Russian Economy”, “la Russia ha vissuto tre anni in apnea, respirando dalle bombole. Ora manca l’aria”.
Il bilancio è impietoso. Il tasso di disoccupazione è sceso a un fittizio 2,3%: ma non è crescita, è svuotamento. Milioni di uomini sono stati chiamati alle armi o sono emigrati. Il governo stima una carenza di due milioni di lavoratori. “Una piena occupazione fasulla”, spiega Di Mario. “Se togli i giovani, i dissidenti e i morti, certo che non hai disoccupati”.
La capacità produttiva è sopra l’80%, un record assoluto. Ma le aziende non hanno più margine di espansione, e gli investimenti sono crollati. Il Fondo nazionale di previdenza, cuore del sistema economico d’emergenza, è stato saccheggiato. Le riserve liquide sono scese a 2,8 trilioni di rubli. Quelle in valuta estera, in particolare yuan, sono ridotte ai minimi: 153 miliardi, una cifra simbolica se paragonata ai livelli pre-2022. L’oro si è più che dimezzato, da oltre 400 tonnellate a meno di 140. Il tutto per tamponare il bilancio statale, tenere in piedi progetti faraonici e finanziare una macchina militare sempre più affamata.
“Il fondo sarà prosciugato entro il 2026, se non prima”, spiegano gli analisti della RANEPA, l’accademia presidenziale per l’economia. Il PIL è cresciuto solo dell’1,4% nel primo trimestre del 2025, contro il 4,1% precedente. È un rallentamento drastico. E per la prima volta dal 2022, l’economia si contrae trimestre su trimestre. I profitti aziendali sono crollati di un terzo. In particolare, nel settore petrolio e gas, cuore finanziario del paese, la flessione è stata del 50%.
“L’economia si sta sgonfiando come un pallone bucato”, scrive Di Mario. “Il sistema era sostenuto da artifici. Ora resta solo il peso”. Le industrie civili hanno iniziato a regredire. Il commercio al dettaglio, indicatore sensibile del benessere interno, ha subito un crollo verticale: dal +7,2% di dicembre al +2,4% di aprile.
All’interno dello stesso governo si alzano voci di allarme. Il ministro dello Sviluppo economico, Maxim Oreshkin, ha dichiarato che l’economia è “sull’orlo della recessione”. Una frase che, in altri tempi, avrebbe comportato una carriera più breve. Ma oggi, persino al Cremlino, qualcuno sembra pronto a rompere il silenzio.
“Le voci diventeranno più forti”, dice Di Mario. “Inizieranno a parlare in codice, in ‘linguaggio esopico’: non possiamo permetterci spese, il fondo è vuoto, non si può reintegrare. Tutti capiranno, anche se nessuno userà parole come bancarotta o default”.
Il punto di rottura si avvicina. Lo segnala anche Alexander Kolyandr, del Center for European Policy Analysis: “Il raffreddamento dell’economia può diventare collasso”. Una tempesta perfetta di decisioni sbagliate, sanzioni, inflazione, perdita di fiducia. “La vera emergenza non è la guerra: è la sua gestione economica”, commenta Di Mario.
Per ora, Putin continua a giocare il ruolo del comandante impassibile. Ma gli equilibri iniziano a sfuggirgli. “È come un illusionista che ha finito i trucchi”, scrive Di Mario. “Il pubblico comincia a vedere i fili, i doppi fondi, le carte truccate. E quando accade, lo spettacolo finisce. Di colpo”.
Quella che si profila all’orizzonte non è solo una recessione. È una crisi sistemica, politica ed economica, in cui lo Stato si trova davanti a una scelta inevitabile: proseguire con la guerra e rischiare il collasso, oppure fermarsi prima che sia troppo tardi. Nessuna delle due opzioni prevede un lieto fine.