Flotilla, 473 arrestati in Israele: le parole agghiaccianti di Ben Gvir davanti agli attivisti inginocchiati ad Ashdod

Ben Gvir

Ashdod, notte tra giovedì e venerdì. Le luci artificiali illuminano un hangar blindato, trasformato in un palcoscenico. Qui, a poche ore dalla conclusione dello Yom Kippur, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir si presenta tra telecamere e guardie armate. Davanti a lui, seduti in fila a terra, con le mani strette da fascette di plastica, ci sono gli attivisti della Global Sumud Flotilla intercettati due giorni prima in acque internazionali mentre cercavano di portare aiuti a Gaza.

La scena che ne esce è destinata a diventare uno dei simboli più inquietanti di queste ore: uomini e donne inginocchiati, circondati da decine di agenti, trasformati in comparse di un video che lo stesso Ben Gvir diffonde poi sui social. Un comizio in piena regola, condito da parole che hanno fatto rabbrividire anche osservatori abituati alle intemperanze del ministro. «Non portavano aiuti umanitari ma droghe e alcol per festeggiare. Sono terroristi, tutti terroristi», urla Ben Gvir davanti alle telecamere. Una dichiarazione che, più che un’accusa, appare come una condanna anticipata.

La reazione degli attivisti è un coro improvvisato di “Free Palestine”. Secondo gli avvocati di Adalah, che hanno assistito centinaia di fermati, proprio in quel momento la polizia avrebbe stretto la presa, ordinando di inginocchiarli, di ammanettarli e di lasciarli seduti in file indiane, in una disposizione scenica utile al ministro per girare le immagini che intendeva diffondere. «Non si tratta di un incidente isolato – spiegano gli avvocati – ma di un metodo: quello che per decenni è stato usato sui palestinesi, oggi viene applicato anche a occidentali e parlamentari».

I numeri restituiscono la dimensione dell’operazione. Sono 473 gli attivisti fermati e condotti ad Ashdod dopo l’intercettazione della Flotilla. Nelle ultime ore, conferma la legale Loubna Yuma, sono stati trasferiti nel carcere di Saharonim, nel deserto del Negev, in attesa di rimpatrio forzato. La polizia israeliana dichiara che 470 di loro sono già stati “processati” in maniera accelerata, identificati e consegnati all’Autorità per la popolazione e l’immigrazione. Per loro, si apre ora la procedura di espulsione.

Tra i fermati c’erano anche quattro parlamentari italiani: il senatore M5S Marco Croatti, il deputato Pd Arturo Scotto, l’eurodeputata Pd Annalisa Corrado e l’eurodeputata dei Verdi Benedetta Scuderi. Dopo ore di incertezza, sono stati liberati e accompagnati all’aeroporto Ben Gurion. «Stanno bene», ha dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha precisato di averli sentiti personalmente. «Li abbiamo riportati a casa, ora valuteremo eventuali iniziative diplomatiche».

Angelo Bonelli, leader di Avs, non usa giri di parole: «È stato uno show indecente. Ben Gvir si è messo a insultare uomini e donne seduti a terra, definendoli terroristi. È un gesto che umilia non solo i fermati ma l’intera comunità internazionale».
Il portavoce della polizia israeliana, Dean Elsdunne, ha rilanciato un altro video, girato a bordo di una delle imbarcazioni sequestrate: «Non c’è alcun aiuto umanitario, per questo hanno rifiutato lo scarico ad Ashdod. La loro era solo una messinscena per ottenere visibilità». Una versione che contrasta con quanto sostenuto dai promotori della Flotilla, secondo cui a bordo c’erano viveri e acqua destinati alla popolazione civile di Gaza.

In Italia la vicenda divide. Il vicepremier Matteo Salvini ha messo in discussione l’utilità dell’iniziativa: «Questa spedizione in barca a vela, quanto è costata al Paese? Chi va in zona di guerra deve sapere che mette a rischio la sua vita e le risorse dello Stato». Parole che non hanno fermato la mobilitazione sindacale: oggi lo sciopero generale proclamato da Usb e Cgil, con cortei in diverse città, nasce proprio dalla reazione all’intercettazione violenta della Flotilla in acque internazionali.

Ma il cuore della cronaca resta quell’hangar di Ashdod, la folla inginocchiata, le fascette di plastica, gli slogan soffocati dalle urla di un ministro che trasforma una detenzione in propaganda. «È il punto di non ritorno», scrive in un comunicato Adalah. «Non parliamo più solo di violazioni dei diritti dei palestinesi. L’estremismo al potere in Israele ha deciso di colpire chiunque lo contraddica, cancellando ogni distinzione tra oppositori e nemici».

Una scena che resterà impressa: il contrasto tra le bandiere palestinesi sequestrate e le accuse di “terrorismo” lanciate contro uomini e donne che, comunque la si pensi, non erano armati e non stavano sparando colpi, ma viaggiavano su imbarcazioni civili. Un’immagine che ha già fatto il giro del mondo, mentre centinaia di attivisti restano dietro le sbarre nel Negev, in attesa di essere rispediti nei loro Paesi.