Gaza, Hamas crolla nei consensi: solo il 2,9% lo voterebbe. Il 32,8% preferisce un candidato indipendente

Hamas

Se nella Striscia di Gaza si votasse oggi, Hamas otterrebbe appena il 2,9% dei consensi. È un dato che ribalta le narrazioni di chi, anche in Israele, continua a dipingere l’intera popolazione palestinese come un monolite jihadista. A certificarlo è un sondaggio condotto alla fine di ottobre dall’Institute for Social and Economic Progress di Ramallah, che da anni monitora lo stato d’animo dei gazawi.

L’indagine è stata realizzata dopo quasi due anni di conflitto e a poche settimane dal cessate il fuoco. I risultati mostrano un cambio profondo nella percezione politica e nelle aspettative dei cittadini. Il 32,8% degli intervistati voterebbe per un candidato indipendente, il 16,3% per Fatah, mentre oltre il 31% diserterebbe le urne. Hamas, invece, sprofonda a percentuali minime. Un dato che, confrontato con il 5% registrato nel 2023, segnala un crollo verticale di fiducia verso il movimento islamista.

Dietro ai numeri c’è una popolazione stremata e disillusa, che chiede pace più che ideologia. Quattro gazawi su cinque – l’80% – ritengono che Hamas e le altre fazioni palestinesi debbano «accettare qualsiasi condizione per garantire la tregua». È la misura di quanto la guerra abbia logorato il tessuto sociale e di quanto la priorità, per la stragrande maggioranza, sia ormai solo la sopravvivenza.

Nello stesso sondaggio, il 70% degli intervistati si dice convinto che il cessate il fuoco possa diventare permanente, mentre il 24,4% teme che Israele non procederà a un vero ritiro. È invece quasi raddoppiata la percentuale di chi dichiara di sentirsi «più vicino alla fine dell’occupazione»: segno che, dopo mesi di distruzione, la tregua – pur fragile – ha riacceso un filo di speranza.

A sorpresa, il 48,7% dei cittadini della Striscia guarda con favore al piano di ricostruzione proposto dall’amministrazione Trump, che prevede la costruzione di 25 mila alloggi per i palestinesi nelle aree controllate da Israele. Un piano che per molti osservatori ha un valore più simbolico che realistico, ma che testimonia il desiderio, da parte dei gazawi, di un ritorno alla normalità e di una prospettiva economica concreta.

Non tutti, però, lo accolgono con fiducia. «Tutti hanno un piano per la Striscia, ma non include mai le volontà degli uomini e delle donne che ci abitano», osserva il giornalista Soliman Hijjeh da Gaza City. Intervistato dal quotidiano, aggiunge: «La strategia è sempre la stessa: separarci e rendere permanente la presenza dell’Idf. È tutto inutile, la nostra voce non è ascoltata».

Queste parole restituiscono il senso di alienazione e impotenza che aleggia tra la popolazione, ma anche la consapevolezza di un futuro ancora possibile. Secondo il rapporto, i sentimenti di speranza sono più che raddoppiati: oggi superano il 70%. È la risposta di una società che, pur devastata, rifiuta di identificarsi con il terrore e chiede dignità e libertà.

A Gaza, insomma, l’immagine della popolazione unita dietro Hamas non corrisponde più alla realtà. L’ultradestra israeliana continua a parlare di una «massa di complici» dei terroristi del 7 ottobre, ma i numeri raccontano altro: una società stremata, diffidente verso chi l’ha trascinata nella catastrofe, pronta a scommettere su volti nuovi e leadership civili.

Il sondaggio di Ramallah mostra un quadro fragile ma eloquente: la popolazione della Striscia non è più disposta a sacrificare tutto sull’altare della militanza. La priorità è la pace, la sicurezza, il diritto di vivere. E se oggi solo il 2,9% dei gazawi voterebbe per Hamas, è perché il resto di Gaza – quello che sopravvive tra le macerie – ha già scelto di voltare pagina.