Storicamente, i referendum abrogativi in Italia – che servono a cancellare una legge o una parte di essa – devono superare un quorum di validità: il 50% + 1 degli aventi diritto al voto deve recarsi alle urne. Questo requisito ha reso molto arduo il successo dei referendum, soprattutto negli ultimi decenni, per vari motivi:
- Disaffezione politica e calo dell’affluenza: la partecipazione elettorale è calata drasticamente negli ultimi vent’anni. Un referendum senza una forte mobilitazione o senza coinvolgimento trasversale tende a fallire.
- Strumento dell’astensione strategica: i partiti contrari a un quesito spesso invitano a non votare, sapendo che è più facile far fallire il referendum sul quorum che vincere nel merito. Questa prassi ha svuotato di senso il dibattito democratico.
- Complessità dei quesiti: spesso i quesiti sono tecnici e poco comprensibili, scoraggiando la partecipazione di cittadini poco informati o non coinvolti direttamente.
Il ruolo storico dei Radicali
Il Partito Radicale, guidato storicamente da Marco Pannella, è stato il protagonista assoluto della stagione referendaria italiana dagli anni Settanta in poi. A loro si devono grandi battaglie civili che hanno cambiato il Paese:
- 1974: il referendum sul divorzio (promosso da ambienti cattolici per abrogarlo), che segnò la prima vera vittoria laica.
- 1981: la conferma della legge sull’aborto.
- 1993: i referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti, sulle preferenze elettorali, sul commercio, sulla TV pubblica.
I Radicali usarono il referendum come forma di “democrazia diretta”, spesso contro l’immobilismo parlamentare. Tuttavia, col tempo, anche i loro referendum hanno cominciato a fallire per insufficienza di quorum, a causa del crescente disinteresse popolare e dell’emarginazione mediatica.
I tanti referendum falliti
Dal 1997 in poi, la maggioranza dei referendum abrogativi non ha raggiunto il quorum. Tra i più noti:
- 2003 e 2005: fallirono i referendum sulla fecondazione assistita, nonostante un forte dibattito.
- 2009 e 2011: ebbero un parziale successo (nel 2011 si votò in massa su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento, col quorum superato), ma furono eccezioni.
- Dal 2016 in poi, tutti i referendum abrogativi hanno fallito il quorum.
I referendum abrogativi sul lavoro dell’8 e 9 giugno 2025 sono stati promossi principalmente dalla Cgil, il più grande sindacato italiano, con il sostegno di diverse forze politiche e sociali della sinistra. La raccolta firme è stata avviata nel 2023, in risposta a provvedimenti del governo Meloni e alla più ampia tendenza degli ultimi anni a deregolamentare il mercato del lavoro.
I quesiti referendari sono quattro:
- Abolizione dei contratti a termine liberalizzati dal decreto Poletti (2014), che ha reso più facili e meno giustificati i rapporti di lavoro temporanei.
- Cancellazione delle norme sui voucher, che reintroducono forme di lavoro accessorio considerate precarie.
- Abrogazione delle norme che ostacolano il reintegro nei casi di licenziamento illegittimo per i lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti (modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori).
- Eliminazione delle norme sul subappalto selvaggio, che permettono alle imprese di appaltare in modo molto flessibile e spesso a scapito delle condizioni contrattuali.
Perché è difficile raggiungere il quorum
Il referendum abrogativo in Italia ha un alto tasso di fallimento, e ciò vale anche – e forse soprattutto – per i temi del lavoro, nonostante la loro rilevanza sociale. Le cause sono diverse:
- Scarsa mobilitazione istituzionale: solo la Cgil è in prima linea. Cisl e Uil si sono sfilate, e molte forze politiche – anche di centrosinistra – sono tiepide o ambigue.
- Media e silenzio informativo: salvo rare eccezioni, i principali mezzi di comunicazione hanno dedicato poco spazio ai quesiti, con il rischio che l’elettorato non sappia nemmeno che si vota.
- Complessità dei temi: anche se cruciali per milioni di lavoratori, i quesiti riguardano modifiche legislative tecniche, che spesso scoraggiano l’elettore non addetto ai lavori.
- Strategia dell’astensione: come accaduto in passato, le forze contrarie possono semplicemente invitare a non andare a votare, contando sul fallimento del quorum invece che sull’argomentazione nel merito.
La Cgil ha già tentato strade referendarie in passato. Il caso più noto è quello del 2017, quando promosse referendum su voucher e appalti. All’epoca, il governo Gentiloni evitò il voto popolare intervenendo con modifiche legislative. Ancor prima, il lavoro è stato al centro di importanti battaglie referendarie, ma raramente coronate da successo.
Va ricordato che i Radicali, pur essendo più noti per le battaglie civili, hanno sostenuto anche referendum sociali (ad esempio contro il finanziamento pubblico, o a favore della liberalizzazione del mercato del lavoro), ma mai con grande presa tra il mondo sindacale.
Ma questa volta c’è una certa attenzione
Ci sono alcuni elementi nuovi che distinguono i referendum del 2025. Il tema è fortemente sociale: il lavoro precario, i licenziamenti e la sicurezza nei cantieri sono argomenti che toccano direttamente milioni di italiani, in un contesto di crescita delle disuguaglianze e povertà lavorativa.