Le ultime quarantotto ore hanno lasciato un senso di inquietudine nei corridoi della politica. Non perché sia la prima volta che tra Palazzo Chigi e il Quirinale corre elettricità, ma perché questa volta il confronto sembra inscriversi in una strategia più ampia, studiata e calibrata. Non una fiammata improvvisa, dunque, ma parte di un ridisegno dei rapporti di forza istituzionali che Giorgia Meloni porta avanti da mesi, con attenzione crescente ai segnali provenienti dall’elettorato e dalle tensioni interne al suo partito. L’articolo della Verità sul presunto “piano del Quirinale” attribuito al consigliere Francesco Garofani diventa così il detonatore, non la causa profonda, di una dinamica che negli ambienti parlamentari viene definita “inevitabile”.
Sul Colle, la reazione iniziale è stata di sorpresa. Nelle prime ore si è fatto notare come non ci fosse alcuna connessione logica tra il titolo – giudicato “forzato” – e le frasi riportate nell’articolo. Ma ciò che irrita, e molto, è stato il passaggio successivo: la nota formale del capogruppo di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, indirizzata direttamente al Quirinale per chiedere una smentita. Una mossa che, per chi vive le dinamiche istituzionali, non può essere considerata né spontanea né avventata. Ed è qui che entra in gioco la parte più politica della vicenda: la strategia della premier.
Nei vertici di maggioranza, infatti, si racconta che l’articolo di Belpietro fosse già rimbalzato nelle chat interne di FdI dalla notte precedente. L’indicazione del poderoso gruppo comunicazione, coordinato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, era chiara: inserirlo tra i contenuti “rilevanti”, cioè da cavalcare. Un segnale che conferma come l’episodio sia stato letto come un’opportunità per riaprire un fronte con il Colle, non come un incidente da smorzare. E la presenza di una regia politica, più che di un malinteso, è ciò che diversi esponenti di spicco della maggioranza lasciano trapelare a mezza voce.
Meloni, del resto, non ha mai nascosto il fastidio nei confronti di ciò che considera un eccesso di “tutela” da parte del Presidente. Chi la conosce da vicino racconta che negli ultimi mesi si sia fatta sempre più convinta che il Quirinale interpreti il proprio ruolo con un surplus di interventismo, soprattutto nei dossier legati alla politica estera, ai decreti più delicati o alle riforme costituzionali. Un equilibrio, quello tra Governo e Presidenza, che storicamente ha richiesto dialogo e scambio continuo. Ma che la premier ora percepisce come un limite al suo mandato politico, soprattutto nella fase in cui il premierato entra nella sua partita finale.
E infatti, in questa cornice, la vicenda Garofani diventa funzionale a un obiettivo politico più ampio: riaffermare la piena sovranità dell’esecutivo sulle scelte strategiche. Non è un caso che Meloni, dopo la replica secca del Quirinale, non abbia affatto preso le distanze dal suo capogruppo. Al contrario, lo ha blindato. Pubblicamente Fazzolari ha difeso la richiesta di chiarimenti, privato la premier ha ribadito che “la smentita sarebbe stata doverosa”. È un doppio messaggio: al Colle, per segnalare che Palazzo Chigi non intende arretrare; e alla sua base elettorale, per dare prova di fermezza.
Dall’altra parte della barricata, il clima è tutt’altro che sereno. Ufficialmente, dal Colle si parla di “stupore” per l’attacco. Ma nei racconti che filtrano dai corridoi del Quirinale, la reazione del Presidente è stata molto più netta: Mattarella non intende trasformarsi in un bersaglio politico. E soprattutto non accetterà che il suo ruolo costituzionale venga letto come un ostacolo al governo. Parole che hanno il sapore di un avvertimento. È il segnale di una tensione che rischia di prolungarsi ben oltre questo episodio.
In maggioranza, però, si ritiene che lo scontro sia destinato a produrre dividendi politici. FdI da mesi intercetta un malessere sotterraneo, alimentato da chi ritiene che il Colle eserciti un freno sui dossier più identitari del governo. Non è solo questione di decreti corretti o richiami alla prudenza: pesa anche la forte visibilità internazionale del Presidente, il suo ruolo nelle crisi globali, la sua linea europeista. Elementi che in alcuni ambienti del centrodestra vengono percepiti come interferenze, o almeno come controspinte.
Sul versante opposto, il Quirinale teme che l’episodio segni un passaggio di fase. Non più scaramucce, non più irritazioni isolate, ma una volontà politica precisa di trasformare il confronto istituzionale in un terreno simbolico per rafforzare il profilo della premier. La sensazione, tra gli sherpa del Presidente, è che Palazzo Chigi voglia usare il Quirinale come contrappunto, soprattutto in vista della campagna referendaria sulla riforma della giustizia e del dibattito sul premierato.
A complicare il quadro si aggiunge la voce insistente di un presunto audio in possesso di Belpietro, che circola da giorni. Nessuno sa se esista davvero, ma la sola ipotesi viene usata da alcuni dirigenti di FdI come prova della solidità delle accuse. Altri, più cauti, temono che la vicenda possa trasformarsi in un boomerang qualora il contenuto non confermasse le aspettative.
Ciò che resta, al di là degli aspetti più nebulosi, è la fotografia di una fase politica nuova. Meloni ha scelto una linea: non subire, ma segnare il campo. La premier non arretra, non smorza, non cerca accomodamenti immediati. Punta a ridisegnare il confine dei poteri, a rafforzare il suo ruolo di guida e a togliere all’opposizione il monopolio della critica al sistema. È una strategia rischiosa, perché ogni scontro con il Quirinale comporta un prezzo. Ma per la leader di FdI è anche un terreno di legittimazione politica.
Il messaggio è chiaro: la premier non intende accettare che il confronto istituzionale venga vissuto come una limitazione della volontà popolare. E se questo significa affrontare tensioni con il Colle, Meloni è pronta. Perché la partita, ora, non è solo quella sul premierato. È quella sulla leadership nel rapporto con le istituzioni della Repubblica. Una partita che la premier vuole giocare fino in fondo, senza rinunciare al ruolo che ritiene suo.







