Nel palazzo della politica qualcuno l’ha già ribattezzato con un soprannome da romanzo: “Il veggente del Transatlantico”. Ma stavolta l’ironia lascia spazio a una domanda serissima: come faceva Italo Bocchino a sapere? Già, perché l’ex deputato, oggi consigliere di fiducia del presidente delle Marche Francesco Acquaroli, ha lanciato la bomba giorni prima che esplodesse ufficialmente. Una frase rilasciata con fare disinvolto, apparentemente buttata lì, eppure pesante come un macigno: “Non credo che l’avversario sarà Ricci”. Lo ha detto in un’intervista al Foglio, datata 10 giugno. Aggiungendo subito dopo un riferimento sibillino: “Le notizie sull’inchiesta ‘Affidopoli’ hanno un loro peso”. Nessuna testata all’epoca ne parlava. Nessun avviso di garanzia era stato notificato. Nessuna comunicazione ufficiale da parte della Procura. Eppure Bocchino, con l’aria di chi sa già come andrà a finire, aveva tracciato il destino politico di Matteo Ricci con inquietante precisione.
L’inchiesta in questione, quella che oggi agita la campagna elettorale marchigiana, è poi emersa davvero. Si chiama, appunto, “Affidopoli” e riguarda una serie di nomine sospette durante l’ultimo mandato da sindaco di Ricci a Pesaro. Il candidato del centrosinistra ha ricevuto un avviso di garanzia proprio nei giorni successivi a quella dichiarazione tanto anticipatoria quanto sospetta. È stato allora che il dubbio si è fatto largo, correndo di bocca in bocca nei bar della politica e negli studi dei giornalisti d’inchiesta: quella di Bocchino non era una semplice previsione, ma una soffiata? E se sì, da chi? Chi ha parlato? Chi ha messo il “profeta” meloniano nella posizione di sapere in anticipo ciò che ancora era coperto dal massimo riserbo?
Nel centrosinistra il malumore è palpabile, e non solo per l’impatto che un avviso di garanzia può avere su una campagna elettorale già complessa. Il sospetto che circola è più profondo: che esista un canale preferenziale, una corsia riservata in cui la giustizia finisce per essere usata come arma preventiva. Non a caso, Alessia Morani – ex parlamentare dem, pesarese come Ricci e tra i suoi principali sostenitori – ha subito affondato il colpo: “Bocchino ha avuto i suoi guai con la giustizia in passato e allora si dichiarava garantista. Ora lo è ancora? Oppure il garantismo vale solo per gli amici?”. Parole dure, che chiamano in causa non solo la coerenza personale, ma l’intero sistema di rapporti tra politica, informazione e magistratura. Perché se davvero qualcuno ha spifferato, si aprirebbe un problema istituzionale, non solo etico.
Intanto Bocchino se la ride. Non solo ha azzeccato la previsione, ma l’ha anche inscenata con un certo gusto teatrale. Ha scelto di presentare il suo nuovo libro – “Perché l’Italia è di destra” – proprio a Pesaro, cuore simbolico della carriera politica di Ricci, e lo ha fatto con una certa dose di provocazione. Nella sala dove il candidato dem ha presieduto per anni il Consiglio provinciale, Bocchino ha tirato fuori battute e allusioni come se fosse sul palcoscenico di un cabaret politico. “Dovrei spolverare la sedia, come Berlusconi con Travaglio, ma vi risparmio la scenetta”, ha detto tra le risate. E poi la stoccata finale: “Auguro a Ricci di non finire nell’inchiesta, ma la condanna politica ormai c’è”. Non solo conosceva i fatti, ma sembrava aver già scritto anche il copione.
Da parte sua Ricci ha scelto, almeno per ora, la linea del silenzio. “Non voglio commentare”, ha detto secco al Corriere della Sera. Ma il clima è quello delle grandi manovre sotterranee, dei sospiri nervosi e delle telefonate criptiche. Perché è evidente che la tempistica dell’avviso – subito dopo le dichiarazioni pubbliche di Bocchino – solleva interrogativi inevitabili. Chi ha fatto uscire l’informazione? Era davvero tutto già noto in certi ambienti politici? O si è trattato solo di un caso, di una straordinaria coincidenza, di una lettura acuta dei segnali?
È difficile crederlo. L’impressione, piuttosto, è che il meccanismo si sia già innescato. E che qualcuno, nella stanza dei bottoni, abbia avuto accesso a documenti riservati o a indiscrezioni ancora coperte da segreto. Non è la prima volta, certo, che un’indagine giudiziaria piomba nel bel mezzo di una corsa elettorale. Ma qui il punto non è solo il contenuto dell’inchiesta. È il momento in cui è diventata pubblica. È il fatto che il principale stratega della destra marchigiana l’abbia evocata con disinvoltura ben prima che la stampa o i diretti interessati ne sapessero qualcosa.
Bocchino, ex delfino del tattarellismo e regista di numerose operazioni comunicative della destra italiana, non è nuovo a queste mosse. Ma la sua figura, stavolta, finisce sotto una lente diversa. Per alcuni, è semplicemente un maestro di sceneggiatura politica, uno che conosce perfettamente le dinamiche del potere e sa sempre dove puntare il faro. Per altri, invece, il suo comportamento alimenta l’ombra di un sistema dove i confini tra la giustizia e la propaganda si fanno sempre più labili.
Quel che è certo è che l’avviso è arrivato. E che nel frattempo, Bocchino si era già procurato lo sgabello, la battuta, la platea e anche la fotografia perfetta per mettere all’angolo il suo avversario politico. Se sia stato intuito, fortuna o qualcosa di molto più torbido, è la domanda a cui – prima o poi – qualcuno dovrà rispondere. Magari con meno sorrisi. E qualche verbale in più.