Lega, vittoria amara in Veneto: Salvini festeggia, ma la spinta decisiva di Zaia apre la resa dei conti interni e riaccende il fronte nordista

Luca Zaia e Matteo Salvini

Il risultato elettorale del Veneto consegna un dato chiaro: la Lega mantiene il controllo della regione simbolo del suo radicamento storico, ma non evita l’apertura immediata di una nuova fase interna. Le parole scelte da Matteo Salvini nel discorso post-voto raccontano molto più di quanto il segretario abbia esplicitato. Per oltre trenta minuti, Salvini ha festeggiato il risultato, elogiato il “gioco di squadra”, difeso la solidità del movimento e rivendicato la resilienza del partito dopo anni difficili. Solo in chiusura, sollecitato da una domanda diretta, ha riconosciuto che quanto accaduto «è frutto anche dei quindici anni di lavoro di Luca Zaia e della sua squadra». Una citazione tardiva, percepita da molti come un ringraziamento dovuto più che spontaneo.

Nelle cifre, però, l’incidenza politica del governatore veneto è evidente. Senza le oltre 200 mila preferenze personali di Zaia, il rapporto di forza con Fratelli d’Italia sarebbe apparso molto più stretto, forse perfino ribaltato. È un dato che i dirigenti veneti della Lega fanno notare da ore: la lista guidata dal presidente del Veneto trascina e protegge il partito, permettendo a Salvini di presentarsi davanti alle telecamere con un risultato definito «di entusiasmo». Eppure, rispetto alle regionali di cinque anni fa, quando Lega e lista Zaia superarono il 60% con oltre un milione e duecentomila voti, il quadro mostra un arretramento evidente: ora il Carroccio si ferma ben sotto quella soglia, con circa seicentomila voti in meno.

È proprio questa discrepanza a riaprire la discussione interna sulla linea politica. L’affermazione di Zaia dimostra che in Veneto la Lega continua a funzionare quando rimette al centro il territorio, l’amministrazione, il pragmatismo e la tradizione autonomista. Una strategia molto distante dall’impostazione nazionale perseguita negli ultimi anni dal segretario federale, che ha orientato il partito verso posizioni identitarie e più marcate nello scontro politico. Per la struttura storica del Nord, quello del Veneto è un esempio concreto di ciò che potrebbe tornare a funzionare.

Il clima interno non è dei più sereni. Nelle chat riservate dei dirigenti veneti e lombardi circola una lettura molto netta: la leadership non è stata messa in discussione dal voto, ma è stata salvata da un risultato trainato da un presidente regionale che ha condotto una campagna personale, poco allineata sul piano politico con le ultime scelte nazionali del Carroccio. Le tensioni si sono riaccese anche a Milano, dove cresce la richiesta di ridare centralità alle amministrazioni del Nord, soprattutto in vista delle prossime scadenze elettorali.

Un’altra questione riguarda il futuro personale di Zaia. Il governatore ha escluso qualsiasi ambizione nazionale, spiegando che continuerà il suo lavoro all’interno del Consiglio regionale. Ma la nuova ondata di consenso ottenuta apre inevitabilmente una riflessione sul suo ruolo nella futura architettura interna della Lega. La frase con cui ha commentato il risultato – «Da oggi sono ricandidabile» – ha sorpreso più di un osservatore. Per qualcuno significa stabilità territoriale, per altri è il segnale che in Veneto non si aprirà alcun vuoto di potere.

Dentro il partito, però, la discussione è più ampia. Alcuni dirigenti del Nord tornano a parlare della possibilità di una Lega strutturata in forma federativa, distinguendo una componente settentrionale con autonomia politica e organizzativa rispetto al resto del movimento: un modello vagamente ispirato all’alleanza tedesca tra Cdu e Csu. Secondo diversi analisti politici, le condizioni per questo progetto non sono mai apparse così favorevoli come dopo questa tornata elettorale.

A pesare è anche il risultato ottenuto dai candidati più vicini alla linea nazionale di Salvini, che in alcune zone del Paese non ha trovato una risposta elettorale significativa. È su questo fronte che la componente nordista rivendica la necessità di una riflessione approfondita. Nei mesi che precedono le europee, questa discussione potrebbe diventare il vero nodo politico del Carroccio.

Per ora, però, la dirigenza ufficiale minimizza, definendo il dibattito come “naturale dialettica interna”. La realtà è più complessa: la vittoria in Veneto non chiude nulla, ma apre una fase nuova. Salvini esce rafforzato nel breve termine, ma lo scenario che gli si muove intorno è in evoluzione e richiede scelte precise. Il Veneto ha confermato che il partito rimane competitivo, purché sappia ritrovare la sua anima originaria. E proprio questa consapevolezza, dentro la Lega, è il vero terreno su cui si giocherà la partita dei prossimi mesi.