di Luca Arnaù
“Sarebbe divertente avere un papa svedese, ma penso che sia piuttosto improbabile. Molto improbabile”. Con questa battuta, pronunciata all’emittente pubblica svedese SVT, il cardinale Anders Arborelius ha commentato con sobrietà nordica la voce che lo vuole tra i protagonisti del prossimo Conclave. Ma dietro l’aplomb da uomo del nord, il primo cardinale della storia svedese rappresenta una figura che piace, e parecchio. A Roma lo definiscono un “outsider di livello”. A Santa Marta, qualcuno lo ha addirittura indicato come “modello”. E a 75 anni, Arborelius – carmelitano, ex luterano, convertito, colto, sobrio – potrebbe davvero stupire.
Nato nel 1949 a Sorengo, nel Canton Ticino, cresce nella luterana Lund, in Svezia. Da giovane è poco coinvolto nella vita ecclesiale, ma a vent’anni qualcosa cambia. Nel 1969 abbraccia il cattolicesimo, una decisione radicale in un paese dove la Chiesa cattolica è una minoranza marginalissima. Il segno più forte arriva poco dopo: nel 1971 entra nell’ordine dei carmelitani scalzi, affascinato dalla figura di Santa Teresa di Lisieux, scoperta attraverso Storia di un’anima. È l’inizio di una lunga formazione che lo porterà a Bruges, poi a Roma al Teresianum, dove studia teologia. In parallelo, ottiene una laurea in lingue e vive 27 anni in clausura, nel silenzio e nella preghiera del convento di Norraby.
Nel 1979 viene ordinato sacerdote a Malmö. Ma non è un uomo che cerca visibilità o ruoli. Per questo sorprende quando, nel 1998, Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Stoccolma. La diocesi è unica per tutto il territorio nazionale, e i cattolici sono appena l’1,5% della popolazione. La Svezia è secolarizzata, indifferente, spesso diffidente. Ma Arborelius non si scoraggia. Lavora con pazienza, punta su una spiritualità profonda, radicata, carmelitana. E coinvolge le comunità straniere, rafforzando la rete pastorale. I frutti non tardano: le conversioni aumentano, così come i battesimi. Non è un boom, ma è un segnale chiaro.
Tra il 2005 e il 2015 guida la Conferenza episcopale scandinava. Collabora con diversi organismi vaticani: il Pontificio consiglio per la famiglia, quello per i laici. I suoi interventi sono misurati, ma sempre limpidi. È un uomo di sintesi: conservatore nella dottrina, su celibato e sacerdozio femminile, ma pastoralmente aperto su migrazioni, accoglienza, ecologia. Nel 2005 è tra i firmatari del Manifesto di Pasqua, in cui si chiede di semplificare il rilascio dei permessi di soggiorno ai rifugiati. In più occasioni prende posizione su temi sociali, con discrezione ma chiarezza.
Nel 2017 arriva il sigillo di Papa Francesco, che lo crea cardinale e ne riconosce la “profondità spirituale”. Una scelta che fece discutere. Un porporato in una Chiesa così piccola? In una terra così fredda per la fede? Ma è proprio questo che voleva il Papa: testimoniare che la cattolicità è anche minoranza, frontiera, periferia spirituale. «Il Papa voleva che la Chiesa si espandesse anche nei contesti più piccoli – dirà Arborelius – ed è molto stimolante pensare che anche le Chiese locali, povere e trascurate, siano una realtà viva. Fa parte della visione cattolica includere, non escludere».
Nel 2022, Francesco lo definirà esplicitamente «un modello. Un uomo che non ha paura di nulla, parla con tutti e non è contro nessuno». Non è un’affermazione di cortesia. È un’investitura. Una conferma che questo carmelitano del nord, nato in una comunità protestante e arrivato alla porpora passando per la clausura, incarna un modello di Chiesa coerente con l’ecclesiologia di Francesco: povera, spirituale, non ideologica.
Il motto episcopale scelto da Arborelius è “In laudem gloriae”. “Tutto ciò che sono e sarò è espressione della gloria del Dio trino”, spiega. «Penso che il primo dovere e il nostro privilegio sia di onorare e glorificare Dio. Ed è una cosa che è stata un po’ dimenticata. L’uomo non viene mai ridotto da questo aspetto, ma al contrario, cresce, diventa più libero e più felice. Uno dei miei più grandi desideri è aiutare le persone a scoprirlo».
Il suo nome è tornato forte tra i papabili dopo la morte di Papa Francesco, lo scorso 21 aprile. Il prossimo 7 maggio, alla Cappella Sistina, sarà tra gli elettori. Ma sarà anche tra i più osservati. Perché, se nei primi scrutini i blocchi si neutralizzano e si cerca un profilo di equilibrio, mitezza e autorevolezza, Arborelius potrebbe diventare l’uomo giusto. Non divide. Non polarizza. Non provoca. Ma sa custodire. E oggi, in una Chiesa spesso divisa tra guerre culturali, il carmelitano del freddo potrebbe essere la voce più limpida. E inattesa.