La lettera indirizzata al ministro propone 17 misure urgenti: “L’Italia sia coerente con il diritto internazionale umanitario”. Un dissenso in punta di penna scritto dalla nuova generazione di funzionari che invita chi decide a decidere
“Le sottoponiamo, con senso di responsabilità istituzionale e profonda umanità, una richiesta formale di intervento urgente, vista la drammatica situazione del popolo palestinese, alla luce di fatti, atti e prese di posizione recenti in ambito nazionale e internazionale”.
Inizia così la lettera riservata, firmata da oltre quattrocento funzionari del ministero degli Esteri, indirizzata al ministro Antonio Tajani e giunta alle mani de LaCapitale da fonti interne.
Una presa di parola sobria, ferma, giuridicamente argomentata, che arriva dalle scrivanie dove ogni giorno si scrivono memo, note verbali e documenti interni che danno forma alla politica estera italiana.
Chi, da dentro la macchina dello Stato, scolpisce per forza di levare o per via di porre le decisioni della politica estera nostrana.
Una nuova generazione al servizio della politica estera
Un dato non di poco conto riguarda il profilo anagrafico dei firmatari. A redigere la lettera – scritta a più mani – è stata la nuova generazione di funzionari e funzionarie: in gran parte neoentrati nella carriera diplomatica o tecnico-amministrativa, con meno di quarant’anni. A parlare è la base, che oggi abita il potere con coscienza critica, invece di accumularlo e basta.
Segnala l’emergere di una cultura professionale più sensibile ai diritti umani e alla responsabilità delle scelte pubbliche e meno disposta a leggere la politica estera solo attraverso interessi strategici intoccabili.
Lettera a Tajani: una rottura senza precedenti
Non è la prima volta che all’interno della diplomazia italiana emergono voci critiche sul tema. Come rammenta la stessa lettera, un gruppo di 40 ambasciatori a riposo aveva sottoscritto nei mesi scorsi un appello pubblico. Ma questa è la prima iniziativa interna da parte di funzionari in servizio attivo, e per di più passando per la scrivania di noce ingombra di incertezze del ministro Tajani.
È il segno di un “profondo disagio etico e professionale” e insieme di una volontà concreta: ricostruire una coerenza tra l’Italia che si proclama garante del diritto internazionale e l’Italia che, nei fatti, rischia di violarlo.
Un’agenda politica dal basso
La lettera è costruita con rigore e lucidità. Supera le generiche condanne e il linguaggio emotivo per proporre un elenco dettagliato di 17 misure operative, che “il Governo deve adottare con urgenza”, orientate a riposizionare l’Italia rispetto alla crisi a Gaza e al conflitto israelo-palestinese.
Lettera a Tajani: le 17 richieste alla Farnesina
I firmatari invocano, anzitutto, la sospensione dell’Accordo di associazione UE-Israele, accompagnata dal riconoscimento dello Stato di Palestina e da iniziative concrete volte a fermare l’occupazione in corso. Viene inoltre chiesta una diffida formale al governo israeliano contro minacce o attacchi alla Global Sumud Flotilla, insieme a sanzioni mirate contro i responsabili di crimini di guerra, inclusa la possibilità di congelamento dei beni.
Particolare attenzione è rivolta alla protezione della relatrice ONU Francesca Albanese, recentemente colpita da sanzioni statunitensi. I firmatari chiedono anche lo stop immediato all’export di armi e tecnologie a duplice uso verso Israele, l’esclusione da appalti pubblici per aziende coinvolte nelle violazioni del diritto internazionale, e una moratoria sulle esercitazioni militari congiunte.
Infine, si sollecita l’esclusione di Israele da competizioni sportive e culturali internazionali, secondo un modello simile a quello adottato nei confronti della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, e l’attivazione di misure per agevolare l’accesso in Italia di studenti, rifugiati e lavoratori palestinesi.
Un passaggio centrale riguarda la tracciabilità dei carichi bellici: si chiede che l’Italia non sia più corridoio per transiti di armi verso Israele, con direttive precise a dogane e porti.
Un lessico dalle parole pesanti
L’abito lessicale della lettera procede con la cura tipica di chi maneggia parole pesanti ogni giorno: una rete di nomi e responsabilità, dati e corpi che svela una politica estera oltre una concezione “idraulica” – essenzialista e riduzionista – ma fondata su scelte che oggigiorno si sono fatte audaci: diritti umani, protezione, accesso.
Richiama trattati, convenzioni, sentenze. Usa un lessico tecnico, inclusivo e accurato, che riflette un diverso approccio alla politica estera: più orientato alla tutela che alla potenza, più attento agli effetti delle scelte che alla loro rappresentazione.
Lettera a Tajani: Farnesina sotto pressione
Il documento arriva in un momento di tensione crescente. La Flotilla internazionale diretta a Gaza è stata attaccata con droni. Le piazze continuano a riempirsi per chiedere uno stop alla complicità. E ora, anche chi lavora ogni giorno alla politica estera alza la mano, con l’augurio di un effetto a cascata che spinga anche gli altri funzionari delle sedi istituzionali a scolpire il proprio dissenso.
La Farnesina ha finora mantenuto una linea di prudenza, parlando di “equilibrio”, di “difesa del diritto alla sicurezza di Israele” e della “necessità di un cessate il fuoco”. Ma l’equilibrio è ormai precario. Il silenzio tecnico rischia di diventare complicità politica.
Chi decide, decida
Quando chi lavora per lo Stato prende parola – non contro lo Stato, ma per tutelarne i principi – ci troviamo davanti a un passaggio cruciale.Quello della lettera dei funzionari del ministero degli Esteri è un dissenso in punta di penna, che irrompe e richiama. Che insiste, nella certezza che la politica sia una scelta quotidiana. E che, proprio per questo, invita caldamente chi decide a decidere davvero.