Mamdani divide l’Italia: Vannacci attacca, il centrosinistra esulta per la svolta di New York

Roberto Vannacci

La notizia è arrivata dall’altra parte dell’Atlantico con il peso politico di un simbolo mondiale: Zohran Mamdani, socialista e musulmano, nato in Uganda da famiglia indiana e cresciuto nel Queens, è il nuovo sindaco di New York. E in Italia, prima ancora che negli Stati Uniti, il suo nome è diventato subito una lente ideologica. Reazioni opposte, letture speculari: per il centrosinistra una scossa di fiducia, per la destra identitaria un presagio inquietante.

A rubare subito la scena, in chiave nazionale, è stato Roberto Vannacci. L’eurodeputato ed ex generale, riferimento dell’ala più intransigente della destra, ha scelto parole dure: “Ventiquattro anni dopo l’11 settembre, New York ha un sindaco musulmano. Così l’Occidente celebra la propria resa culturale chiamandola progresso.” Una frase breve, destinata però a circolare a lungo nei circuiti sovranisti europei. Per Vannacci la vittoria di Mamdani non è emancipazione, ma cedimento: una metropoli simbolo, ferita nel 2001 dal terrorismo jihadista, che oggi consegna il governo a un esponente della sinistra radicale di fede islamica.

Prospettiva rovesciata nel campo progressista. Elly Schlein ha accolto il risultato come la conferma che un’agenda sociale forte può ancora produrre consenso. “Splendida vittoria,” ha dichiarato, “la sinistra torna a vincere con parole e programmi chiari su salari dignitosi, sanità universale, diritto alla casa e trasporti accessibili.” Per la segretaria del Pd, Mamdani rappresenta la “politica della speranza che batte quella della paura”. In un messaggio che guarda tanto a New York quanto alle periferie italiane.

Neanche Nicola Fratoianni ha nascosto la soddisfazione. Per il leader di Alleanza Verdi e Sinistra si tratta di un “squarcio di luce nel buio americano dopo l’inizio del nuovo mandato di Donald Trump.” A suo giudizio Mamdani ha incarnato una piattaforma “che mette al centro diritti e bisogni della maggioranza”. Un messaggio rivendicato come affine alla strategia della sinistra radicale in Italia: “Si può fare negli Stati Uniti, si può fare anche da noi.”

Dal fronte liberal arriva la lettura di Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe: “È la prova che esiste una nuova generazione democratica che non urla, convince.” Gozi parla di “onda blu” che attraversa l’Atlantico e rimette in moto la narrativa democratica sul terreno dell’equità sociale e della rappresentanza.

Persino l’Anpi interviene, legando il risultato newyorkese a una battaglia contro le derive autoritarie globali. “Il tecnofascismo iperliberista rappresentato da Trump si può battere,” scrive il presidente Gianfranco Pagliarulo, “ma non basta una politica moderata.” Un richiamo alla mobilitazione anche simbolica, dopo anni di dibattito sulle forme della democrazia occidentale.

Non tutti, però, vedono un orizzonte progressivo. Francesco Giubilei, saggista conservatore e direttore della fondazione Alleanza Nazionale, parla apertamente di “declino dell’Occidente che odia se stesso”. Un linguaggio che riecheggia le parole di Vannacci, evidenziando la saldatura tra l’intellettualità sovranista e l’ala militante della destra alternativa italiana.

Più prudente la posizione del governo. Il ministro Luca Ciriani, figura di punta di Fratelli d’Italia, ha scelto un profilo istituzionale e deflattivo: “New York ha fatto una scelta di sinistra-sinistra. Ma non è l’America profonda, non rappresenta l’elettorato statunitense nel suo insieme.” Nessuna resa, nessun trionfo: “Aspettiamo le elezioni di Midterm. Trump è ancora molto forte nel Paese.”

In controluce, il dibattito italiano rivela qualcosa che va oltre Mamdani. È la questione dell’identità, dell’Occidente, della convivenza tra religione e politica nel XXI secolo. La figura del nuovo sindaco di New York, con la sua biografia plurale – Africa, Asia, Stati Uniti, Islam, sinistra socialista – diventa un prisma che interroga non solo l’America ma anche l’immaginario europeo. Per la sinistra è la prova che i diritti sociali tornano centrali. Per la destra è un avvertimento sul futuro multiculturale che avanza.

Al netto delle letture ideologiche, resta il dato politico: New York si conferma laboratorio, e come sempre accade quando la metropoli cambia rotta, il mondo osserva. In Italia, lo fa filtrando la notizia attraverso paure e aspirazioni domestiche. C’è chi vede un segno di rinnovamento e chi una crepa nella fortezza occidentale. Mamdani, intanto, non commenta le reazioni europee: ha già detto che “la città ha scelto di credere nella dignità per tutti”. Washington è lontana, anche perché la Costituzione gliela preclude. Ma per una notte New York ha parlato, e l’Italia si è specchiata nelle proprie domande.