Domenica e lunedì si vota per la presidenza della Regione Marche: il centrodestra punta alla riconferma di Francesco Acquaroli, il centrosinistra scommette su Matteo Ricci. Ma le tensioni nel Pd rischiano di pesare sull’affluenza e sull’unità del fronte progressista.
Sotto il segno di una tensione tutta interna, il Partito Democratico di Elly Schlein affronta il test più delicato dell’autunno politico: il voto per la presidenza della Regione Marche, in programma domenica 28 e lunedì 29 settembre. Circa un milione e trecentomila elettori saranno chiamati alle urne per scegliere tra il presidente uscente Francesco Acquaroli, sostenuto dal centrodestra, e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e volto riformista del Pd, che i sondaggi accreditano in lieve svantaggio.
Un risultato incerto, condizionato dal grande nemico comune del centrosinistra: l’astensione. È questo il vero rischio per Ricci e per Schlein. Un’astensione che si è ormai radicata nell’elettorato progressista, stanco di divisioni, scissioni, personalismi e polemiche. Chi dovrebbe costruire un’alternativa al governo, spesso finisce invece per dividersi, disorientando chi osserva da fuori.
Il centrodestra, al contrario, si presenta con un’immagine di solidità: a sostegno di Acquaroli sono saliti sul palco di Ancona tutti i leader della coalizione – Meloni, Salvini e Tajani – in una prova di forza che ha dato un segnale chiaro. Sul versante opposto, a Pesaro, Matteo Ricci ha condiviso il palco solo con Elly Schlein: né Giuseppe Conte né Nicola Fratoianni hanno raccolto l’invito a una chiusura di campagna comune, nonostante il continuo richiamo alla necessità di costruire un “campo largo”.
Il malumore è palpabile anche dentro il Pd. Stefano Bonaccini, presidente del partito e riferimento dell’area riformista, ha perso la pazienza: «A una settimana dal voto, finiamola con le liti: allontanano gli elettori», ha detto, rivolgendosi apertamente ai dirigenti che continuano a mettere in discussione la linea di Schlein. Un avvertimento, ma anche una resa dei conti: tra i nomi nel mirino, Lorenzo Guerini, Giorgio Gori, Graziano Delrio, Filippo Sensi, Lia Quartapelle e Pina Picierno, che accusano Bonaccini di essersi troppo appiattito sulla segretaria, rinunciando al ruolo di contrappeso interno.
Il momento scelto per la frattura, tuttavia, appare il peggiore possibile. «Potevano dirlo mesi fa – osservano i fedelissimi di Bonaccini – non ora, a ridosso del voto marchigiano». Una spaccatura che rischia di indebolire la corsa di Ricci e di consegnare ad Acquaroli una vittoria quasi annunciata, rafforzando al contempo la leadership della presidente del Consiglio.
Il significato politico del voto va infatti ben oltre i confini regionali. Per Giorgia Meloni, una riconferma nelle Marche consoliderebbe la sua posizione nel centrodestra e offrirebbe un vantaggio strategico in vista delle prossime regionali in Veneto, dove si gioca un’altra partita complessa. Lì, la “variabile Zaia” continua a preoccupare sia Meloni sia Salvini.
La lista personale del governatore del Veneto, che alle regionali del 2020 aveva superato il 40% dei consensi, è diventata un soggetto politico autonomo, capace di attrarre voti trasversali e di mettere in difficoltà la leadership del Carroccio. Salvini, già indebolito da tensioni interne e da un consenso in calo, tenta di ricompattare il fronte leghista attorno al giovane Alberto Stefani, ma la partita resta aperta.
Zaia, dal canto suo, non sembra disposto a farsi da parte. Dopo essere stato escluso dal terzo mandato, avrebbe espresso l’intenzione di sostenere una “Lista per Stefani” autonoma, pronta a erodere consensi anche a Fratelli d’Italia. Un’eventuale sconfitta di Meloni nelle Marche renderebbe più complicata la gestione di questo equilibrio, aprendo scenari di competizione diretta tra le due principali forze di governo.
Sul fronte opposto, il centrosinistra cerca di resistere, ma la fatica è evidente. Matteo Ricci, sindaco concreto e amministratore esperto, rappresenta l’ala pragmatica del Pd, ma la sua campagna elettorale ha risentito della mancanza di un sostegno pienamente unitario. Persino l’appello di Schlein all’unità delle forze progressiste sembra essersi perso tra i distinguo e le diffidenze reciproche.
Per il Pd, la sfida delle Marche ha il valore di un referendum interno: testare la tenuta della segreteria, la capacità di recuperare consenso e la credibilità di un progetto alternativo. Per la maggioranza di governo, invece, è l’occasione per misurare l’efficacia della compattezza mostrata finora, nonostante le tensioni sul fronte economico e le diversità di vedute tra gli alleati.
A pochi giorni dal voto, lo scenario resta aperto. Se Ricci dovesse riuscire nel colpo di mano e riportare il centrosinistra alla guida della Regione, il risultato avrebbe un forte impatto politico nazionale, segnando un punto a favore della Schlein e riaprendo i giochi in vista delle elezioni d’autunno in Campania, Toscana e Veneto. Se invece vincerà Acquaroli, sarà la conferma di un centrodestra sempre più radicato nei territori e di un’opposizione che, ancora una volta, non è riuscita a fare squadra.
Per entrambi, insomma, la posta in palio va ben oltre Ancona e Pesaro. Le Marche potrebbero diventare il primo segnale di un nuovo equilibrio politico in Italia, o l’ennesima prova della difficoltà del Pd di ritrovare se stesso.