Medvedev tira fuori la Mano morta, Trump muove i sottomarini: la Guerra Fredda 2.0 è iniziata

Donald Trump

Bastano quattordici parole scritte su Telegram per riportare il mondo indietro di quarant’anni. Dmitry Medvedev, ex presidente russo e attuale vice del Consiglio di Sicurezza, ha premuto invio e ha risvegliato lo spettro più inquietante della Guerra Fredda: la Mano morta. Nel suo post, l’uomo di Putin ha evocato il sistema di rappresaglia automatica che negli anni Ottanta faceva tremare la Casa Bianca: un meccanismo pensato per vendicare la Russia anche se il Cremlino fosse ridotto in cenere. Bastano quelle parole, e il pianeta torna a respirare l’aria rarefatta dell’Apocalisse atomica.

Donald Trump, che la diplomazia la usa come colonna sonora del suo show personale, non poteva restare a guardare. In un’intervista a Newsmax ha finto noncuranza, poi ha lanciato la frase che gli analisti di mezzo mondo avrebbero voluto non sentire mai: «Quando sento la parola “nucleare”, i miei occhi si illuminano». Da lì il passo è stato breve: l’ordine di spostare due sottomarini nucleari statunitensi verso le acque russe, un segnale che non ha bisogno di traduzioni. «Voglio solo assicurarmi che le sue parole restino parole», ha detto con un sorriso che gela più di un’allerta rossa.

Dietro il nome da film di zombie, la Mano morta è una macchina di morte vera, costruita dall’Unione Sovietica nel 1985 per risolvere l’incubo di sempre: un primo attacco nucleare americano che cancelli in un colpo solo governo, comando e possibilità di risposta. La soluzione trovata dai sovietici fu geniale e mostruosa: un sistema automatico che controlla il cielo, la terra e il silenzio di Mosca. Se percepisce un attacco atomico e il comando centrale non dà segni di vita, scatta il protocollo finale. Un razzo di comando sorvola la Russia trasmettendo a ogni silo e base missilistica l’ordine di fuoco. In altre parole: anche senza esseri umani, la vendetta sarebbe assicurata.

Per decenni, Perimeter — questo il suo nome tecnico — è stato il protagonista invisibile di romanzi, leggende militari e incubi da Guerra Fredda. Poi, nel 2011, la conferma ufficiale del generale Sergej Karakaev: «Il sistema garantisce la distruzione degli Stati Uniti in 30 minuti». Da quel giorno ogni volta che il Cremlino sussurra “Mano morta”, un brivido corre lungo la schiena di generali e governi di mezzo mondo.

Medvedev sa perfettamente l’effetto di quelle parole, e forse era proprio quello che voleva: mettere la Russia al centro della scena globale non con trattati o discorsi ufficiali, ma con un post su Telegram, l’arma dei tempi nuovi. Trump, dal canto suo, non ha perso l’occasione di fare la sua mossa teatrale: spedire due sottomarini nucleari è il suo modo di dire «Non ho paura del tuo giocattolo sovietico». Così, l’uomo che di solito tratta Putin come un vecchio amico di golf ha improvvisamente cambiato copione, trasformandosi in un Reagan versione social, pronto a giocare a poker con l’Apocalisse.

E il mondo? Rimane a guardare, spettatore impotente di un reality nucleare. Da una parte Medvedev, che fa la Mano morta al pianeta intero. Dall’altra Trump, che muove le pedine più pericolose della scacchiera con il ghigno di chi ama il rischio. La differenza con gli anni Ottanta è solo di piattaforma: allora c’erano linee rosse e telefoni roventi tra Washington e Mosca. Oggi bastano un post e un’intervista per riportare il pianeta sull’orlo dell’abisso.

Il cielo sopra il mondo resta lo stesso, ma ora ospita un’ombra familiare: quella del fungo atomico, che ritorna come minaccia concreta. Il terrore che credevamo sepolto con il Muro di Berlino è di nuovo tra noi. Solo che adesso corre più veloce di un missile: viaggia in 5G, tra un like e un ping di notifica. La Guerra Fredda è tornata, e questa volta sembra voler giocare in diretta streaming.