Nepal in rivolta: 22 morti in 48 ore, proteste guidate dalla Gen-Z

Nepal: i manifestanti nepalesi vandalizzano Singhadurbar, la capitale amministrativa del Nepal

Caos in Nepal, le proteste di piazza, nate come manifestazioni pacifiche, sono sfociate in violenti scontri con almeno 22 morti e oltre 400 feriti. Alcuni palazzi del potere e le abitazioni di esponenti politici sono state date alle fiamme. Alla fine, il presidente e il primo ministro hanno rassegnato le dimissioni, mentre l’esercito è intervenuto per riprendere il controllo della capitale Katmandu.

Al centro della rivolta, una generazione di giovani ventenni cresciuti sui social. È stata ribattezzata la “rivolta della Generazione Z”, un movimento innescato dal blocco improvviso di 26 piattaforme digitali, tra cui WhatsApp, YouTube, Facebook e Viber.

Il motivo? Una nuova legge approvata a fine agosto obbligava i colossi del web a registrarsi presso un ufficio legale in Nepal e a indicare un rappresentante locale, ritenuto “responsabile dei contenuti pubblicati”. Al mancato rispetto della norma sarebbe seguito il blocco. Alla scadenza del termine, fissato per il 3 settembre, il governo ha oscurato le piattaforme, scatenando la protesta.

La rabbia era già nell’aria, alimentata da anni di corruzione, disoccupazione giovanile (il 20%, secondo la Banca Mondiale) e disuguaglianze sociali. A far esplodere la tensione è stata anche l’indignazione verso i cosiddetti “Nepo Kids”, i figli dei politici accusati di vivere nel lusso mentre molti giovani faticano a trovare lavoro o sono costretti a emigrare.

Le proteste si sono rapidamente trasformate in violenza. A Katmandu, i manifestanti hanno incendiato la casa del ministro degli Interni, quella dell’ex premier – dove è morta la moglie, rimasta ustionata – e la residenza dell’ex presidente Ram Chandra Poudel, che dopo le dimissioni è fuggito in elicottero.

Ora, con il primo ministro KP Sharma Oli dimissionario e le piattaforme digitali tornate attive, è l’esercito a mantenere l’ordine. Il governo provvisorio ha imposto il coprifuoco e ordinato arresti di massa per cercare di frenare il saccheggio e il caos.

Ma mentre la capitale resta sotto controllo militare, ricostruire la fiducia nelle istituzioni sarà un processo molto più lungo. In una Katmandu ancora piena di fumo, con edifici bruciati e strade pattugliate dai soldati, la calma è solo apparente.