Un movimento che fino a pochi mesi fa sembrava poco più di un ritrovo nostalgico, oggi somiglia sempre più a un magnete politico. A Treviglio, nel teatro Tnt dove il Patto per il Nord ha celebrato il suo congresso ed eletto Paolo Grimoldi come segretario, si è capito che la frattura storica aperta con Matteo Salvini non è un semplice affare interno al mondo leghista. È, piuttosto, una ricomposizione possibile di un elettorato disperso, scontento o orfano della vecchia Lega bossiana. E soprattutto una fetta di consenso che fa gola a molti: a destra, al centro, perfino nel campo progressista.
Un tema, quello dell’autonomismo “originario”, che si è trasformato in bussola di identità e in promessa elettorale. Al punto che alcuni alleati del Carroccio hanno scelto di presentarsi personalmente al congresso dei transfughi leghisti, nonostante il rischio evidente di incrinare i rapporti nella coalizione. La presenza più simbolica – e più ingombrante – è stata quella di Marco Osnato, deputato di Fratelli d’Italia, fedelissimo di Ignazio La Russa e figura di peso nel partito della premier. La sua partecipazione, al di là dei saluti istituzionali, è stata percepita come un vero endorsement: «Anche la destra è sensibile al federalismo», ha detto dal palco, scatenando una standing ovation.
Osnato ha ricordato che negli anni Settanta il Movimento Sociale si batté per l’autonomia della provincia di Belluno, tracciando un parallelo che suona come una carezza per i nostalgici del Senatùr e come un colpo basso per Salvini. Il deputato meloniano ha spinto il paragone oltre, raccontando che anche Fratelli d’Italia «poco più di dieci anni fa fu costretto a ripartire da zero perché tradito da chi avrebbe dovuto portare avanti i nostri valori». Una frase che nella platea del Patto per il Nord ha avuto l’effetto di un applauso liberatorio; nella sede della Lega, probabilmente, di un brivido.
Non meno significativa è stata la presenza del segretario regionale lombardo di Forza Italia, Alessandro Sorte. Il suo messaggio è stato pragmatico: «Tutti i voti contano, e il centrodestra ha bisogno di allargare i confini». Ha ricordato che nel 2006 Berlusconi perse il confronto con Prodi per appena 24mila voti: un modo elegante, ma chiarissimo, per dire che anche un movimento piccolo ma radicato nel Nord può fare la differenza quando si torna alle urne. Ma Sorte non ha mancato di lanciare un monito: «Non insultate i nostri alleati». Un riferimento neppure troppo velato alle bordate e ai fischi scattati ogni volta che il nome di Salvini è comparso nei discorsi dei relatori.
Perché è questo il nodo: il Patto per il Nord nasce da chi è uscito dalla Lega o ne è stato espulso, con l’ambizione di rappresentare l’unica vera voce del Nord produttivo, federalista e anti-assistenzialista. Il “cuore antico” del movimento di Bossi, depurato dalla svolta nazionalista impressa da Salvini. È normale, in questo quadro, che la sola evocazione del segretario leghista faccia rumoreggiare i presenti. Ed è inevitabile che l’apparizione di delegazioni di FdI e Forza Italia venga letta come un tentativo di sondare questo nuovo spazio politico.
Ma il corteggiamento non arriva solo dalla maggioranza. Anche il fronte opposto si è affacciato al teatro Tnt. È intervenuto l’ex deputato dem Emilio Del Bono, oggi consigliere regionale e nome che circola come possibile candidato alla guida della Lombardia nel 2028. Il suo è stato un discorso calibrato: ha richiamato il tema degli enti locali «calpestati dal centralismo» e ha invitato i presenti a lavorare insieme su un autonomismo “vero”, non strumentale. In una platea che non ha più appartenenze storiche – solo un’identità geografica – anche le parole del centrosinistra hanno catturato attenzione.
C’è stata poi la proposta di Luigi Marattin, oggi segretario del neonato Partito liberal-democratico: un invito a immaginare un terzo polo autonomista per chi non si riconosce nei due blocchi maggiori. E l’intervento di Benedetto Della Vedova (+Europa), che ha contrapposto un Bossi «euro-scettico ma federalista» a un Salvini «sovranista e centralista», attribuendo al fondatore della Lega una purezza ideale che la svolta salviniana avrebbe, a suo dire, smarrito.
Il grande assente, per ragioni di salute, è stato Carlo Calenda, annunciato e atteso: un’assenza che ha alimentato curiosità, perché l’ex ministro non ha mai nascosto di guardare con interesse al Nord produttivo e alle sue spinte autonomiste.
Nel suo primo discorso da segretario, Paolo Grimoldi ha provato a riportare il baricentro sul progetto politico: «Non siamo gli ex di qualcuno, né nostalgici. Non siamo una costola della Lega. Siamo un nuovo partito, l’unico partito del Nord», ha scandito. La direzione è chiara: ricostruire un soggetto che non viva contro qualcosa, ma per un’idea di federalismo radicale, con lo sguardo rivolto al tessuto produttivo. L’obiettivo dichiarato è sgombrare il campo da tre mali percepiti come strutturali: assistenzialismo, statalismo, clientelismo.
E intanto nelle prime file si sono rivisti perfino i nomi storici del bossismo puro: Marco Reguzzoni, Dario Galli, Roberto Bernardelli. Una nostalgia che però vuole trasformarsi in presente politico: non un ritorno alla Lega delle origini, ma un’eredità rivendicata e riformulata.
La domanda ora è una sola: questo nuovo soggetto può diventare decisivo nell’aritmetica delle coalizioni? Moderno e identitario quanto basta da attrarre imprenditori, autonomisti, ex leghisti e delusi vari, ma abbastanza flessibile da dialogare con chiunque abbia interesse a conquistare il Nord. È esattamente questo potenziale che, per una domenica, ha portato a Treviglio emissari, curiosi e strateghi. Tutti consapevoli che, in un’Italia in cui le vittorie politiche si decidono ormai per manciate di voti, anche un manipolo di “ribelli del Nord” può diventare un alleato prezioso. O un avversario pericoloso.







