Viktor Orban vola a Washington per un incontro a porte chiuse con Donald Trump, il leader a cui guarda come possibile alleato nella sua battaglia contro Bruxelles. Al centro del colloquio, la richiesta di un’esenzione dalle sanzioni statunitensi che colpiscono le major russe Lukoil e Rosneft, da cui Budapest continua a importare la gran parte del proprio petrolio. “Il presidente ha chiesto un’esenzione. Non gliel’abbiamo concessa, ma lui l’ha chiesta. È un mio amico”, ha dichiarato Trump a bordo dell’Air Force One. Parole che lasciano intendere un rapporto personale cordiale ma non privo di tensioni.
Il nodo del greggio russo
Per Orban, la questione è vitale. L’Ungheria non ha sbocchi sul mare e sostiene che le restrizioni energetiche penalizzino in modo sproporzionato il Paese. “Se la richiesta verrà accolta, il 90% della nostra economia e delle famiglie sarà risparmiato dalle difficoltà”, ha detto il premier ungherese, aggiungendo che “con Trump ci si può intendere, basta un accordo”. Ma i numeri raccontano un’altra storia. Secondo l’Atlantic Council, l’86% del petrolio importato dall’Ungheria proviene oggi dalla Russia, contro il 61% del 2021. Un aumento che va in direzione opposta rispetto agli obiettivi europei: l’Ue prevede di vietare le importazioni di greggio russo entro il 2028.
Tra Mosca, Pechino e Bruxelles
Il premier ungherese continua a muoversi su un difficile equilibrio tra Est e Ovest. Da un lato, resta legato a Mosca sul piano energetico e apre a Pechino per gli investimenti industriali, in particolare per le fabbriche di batterie e per l’ampliamento della centrale nucleare di Paks, affidato alla russa Rosatom. Dall’altro, si trova sempre più isolato in seno all’Unione Europea, di cui ostacola le principali iniziative pro-Ucraina: dal veto all’ingresso di Kiev nell’Ue al blocco dei rimborsi per gli aiuti militari, fino alla freddezza sui prestiti garantiti dagli asset russi congelati. A Bruxelles si sa che, se Orban decidesse di usare il veto, le sanzioni europee alla Russia – da rinnovare ogni sei mesi – cadrebbero immediatamente.
Orban, Trump come ultima carta
Il viaggio di Orban negli Stati Uniti ha quindi un valore strategico più che simbolico. Il premier magiaro cerca in Trump una legittimazione politica internazionale e una sponda contro la pressione di Bruxelles. Ma il rischio è che il tycoon, interessato a marcare le distanze dall’Europa e a mantenere i rapporti con Kiev, lo lasci a mani vuote. Come nota un diplomatico europeo a Bruxelles, “Orban gioca la partita delle tre carte, ma se Trump guarda davvero da vicino il mazzo, la mano è persa in partenza”.







