Palazzo Grazioli o Milano, Tajani o Occhiuto: Forza Italia alla prova del 17 dicembre, tra convegni-simbolo e resa dei conti silenziosa

Antonio Tajani – Roberto Occhiuto

Il Parlamento, Palazzo Grazioli o Milano. Tre luoghi, una sola giornata e un problema che non è logistico: è politico. Domani, mercoledì 17 dicembre, l’agenda di Forza Italia si trasforma in una cartina tornasole, di quelle che non fanno rumore ma lasciano la macchia. Perché gli appuntamenti si sovrappongono e, quando succede, l’alibi della “coincidenza” dura poco: prima o poi qualcuno deve scegliere dove comparire, con chi scambiare strette di mano, a quale platea dedicare tempo, sorrisi e foto. E dentro un partito che vive di equilibri, le foto contano quasi quanto i voti.

A Roma, nel cuore simbolico dell’era berlusconiana, c’è Palazzo Grazioli. Lì Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, ha organizzato un convegno dal titolo che già suona come un manifesto: “In libertà. Pensieri liberali per l’Italia”. Sede non casuale, perché Grazioli non è soltanto un indirizzo: è un pezzo di memoria politica, un luogo che evoca comando, stile, catena di fedeltà. Oggi ospita la stampa estera, ma l’operazione è chiara: riportare gli azzurri dentro una scenografia identitaria, come a dire che il “dopo” non può essere soltanto gestione ordinaria. E infatti l’evento non entusiasma i vertici del partito, allarmati da settimane da segnali diversi che puntano tutti nella stessa direzione: il tema del rinnovamento, la pressione interna, la tentazione di contarsi.

Sulla carta, la linea difensiva c’è già ed è ben rodata: non chiamatela corrente. «È un semplice convegno», minimizza Matilde Siracusano, sottosegretaria e compagna del governatore calabrese. Una frase che prova a disinnescare la miccia lessicale, perché in Forza Italia la parola “corrente” è benzina: significa organizzazione, capi e sottocapi, pacchetti di delegati, geometrie di congresso. Ma anche chi la nega sa che la percezione, spesso, pesa più della definizione. E in questo momento la percezione è che Occhiuto stia cercando di raccogliere, attorno a sé, un’area inquieta: quella che guarda al partito e vede una macchina che gira ma non accelera, che amministra ma non inventa, che sopravvive ma non rilancia.

A rendere tutto più elettrico c’è lo sfondo delle parole di Pier Silvio Berlusconi sulle «facce nuove». Un assist, un avvertimento, una spinta: ognuno lo interpreta come preferisce, ma nessuno fa finta di non averlo sentito. In questo clima, non stupisce che Antonio Tajani abbia scelto di presidiare un altro palco, lontano e contemporaneo, trasformando un appuntamento istituzionale in una prova di forza. A Milano va in scena la terza edizione della Conferenza nazionale dell’export e dell’internazionalizzazione delle imprese, organizzata con Tajani protagonista. Ufficialmente è una tappa di lavoro, sostanzialmente ha il sapore del controevento: un modo per dire “ci sono io”, ma soprattutto “qui si misura la lealtà”. E infatti agli eletti è arrivato un invito esplicito: venite tutti a Milano. Con tanto di link per la registrazione, che in politica è la forma moderna della conta, meno plateale di un applauso e più fredda di un comunicato.

Il dettaglio che circola è quello delle adesioni, raccontate come segnali: tra gli iscritti, dicono, ci sarebbe una delegazione pugliese “cospicua”. Anche qui non serve aggiungere altro: in un partito abituato a leggere le mappe territoriali come mappe di potere, la consistenza delle delegazioni è già un messaggio. Ma il punto è che domani non c’è solo la partita interna. In mezzo c’è l’Aula. Camera e Senato devono ascoltare le comunicazioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e poi votare le risoluzioni di maggioranza. Formalmente il centrodestra ha numeri ampi, capaci di attutire assenze singole, e proprio per questo ogni assenza diventa più significativa: perché non è necessaria, quindi appare scelta.

Ed ecco il nodo pratico che diventa politico. Sfilarsi per un’ora e due e passare da Palazzo Grazioli, restando a Roma, è un conto: si può fare, si può incastrare, si può perfino raccontare come “presenza dovuta” e poi rientro rapido. Imbarcarsi per Milano è un altro: richiede tempo, spostamento, permanenza, e quindi un’adesione più visibile, più impegnativa, più difficile da mascherare dietro la casualità. Per questo, nelle prossime ventiquattro ore, non conterà soltanto chi ci sarà, ma anche chi non potrà esserci, e soprattutto quale giustificazione userà. Perché la politica è anche questo: un linguaggio di assenze, di presenze, di mezze presenze, di passaggi lampo utili a non scontentare nessuno ma, spesso, a farsi capire da tutti.

La scena è già apparecchiata: da una parte Occhiuto che prova a vestire i panni dell’energia nuova senza chiamarla sfida, dall’altra Tajani che difende la leadership con la forza del ruolo e con un appuntamento che parla al mondo produttivo, quindi al cuore “moderato” del partito. In mezzo, un gruppo parlamentare che domani verrà osservato come si osservano le tribune in uno stadio: chi si siede dove, con chi, per quanto tempo. E quando la giornata finirà, più che i contenuti dei convegni resterà una domanda secca, che a Forza Italia piace poco ma che torna sempre: chi sta con chi.