In una Roma che per due giorni ha respirato al ritmo dei social, Papa Leone XIV ha lanciato un messaggio diretto e inequivocabile: «Annunciate la pace e riparate le reti». L’occasione è stata il primo Giubileo degli Influencer e dei Missionari Digitali, evento che ha radunato oltre 1.700 partecipanti da 75 Paesi tra sacerdoti, religiose, laici e musicisti che usano Instagram, YouTube, TikTok e Facebook per diffondere il Vangelo. La Basilica di San Pietro e l’Auditorium della Conciliazione si sono trasformati in una cassa di risonanza per un appello inedito: trasformare i luoghi virtuali in spazi di speranza e di incontro.
Il pontefice ha parlato ai comunicatori cattolici al termine della Messa di martedì 29 luglio, tracciando le linee di una missione che abbraccia tanto il mondo reale quanto quello digitale: «Viviamo in un momento dilaniato dall’inimicizia e dalle guerre. Il messaggio di pace deve raggiungere gli estremi confini della terra e i confini esistenziali di chi ha perso speranza. Anche le reti digitali hanno bisogno di essere riparate». Parole che hanno definito il cuore di un Giubileo nato per “battezzare” un nuovo campo di evangelizzazione.
L’evento si è aperto con l’intervento del cardinale Pietro Parolin, che ha offerto una riflessione lucida sul rapporto tra fede e digitale: «Ciò che caratterizza l’umano è la capacità di farsi domande. E oggi la domanda è: come il mondo digitale, che trasforma rapidamente le dinamiche sociali, può comunicare la fede?». Parolin ha invitato gli influencer a considerare ogni persona «un volto, non un profilo», e la sua storia «sacra, non un insieme di dati». L’appello è stato netto: «Fare nuovo l’ambiente digitale è la sfida che attende tutti voi, sentitela come la vostra missione».
Sulla stessa linea l’arcivescovo Rino Fisichella, proprefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, che ha evidenziato il legame tra il Giubileo degli influencer e quello dei giovani: «Non è un caso che abbiamo scelto l’inizio del Giubileo dei giovani per dar vita a questo appuntamento. Avete la grande responsabilità di raccontare ciò che avviene e di trasformare i contenuti in incontri reali. Non esiste evangelizzazione senza evangelizzatori, e non esistono evangelizzatori che non si lascino evangelizzare a loro volta».
Il tono pastorale e al tempo stesso concreto è stato rafforzato dal prefetto del Dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini: «La Chiesa era una rete prima che il web fosse rete. Ma la nostra è una rete di persone, non di chatbot. Nessuno è al centro: l’unico nome da conoscere e glorificare è Cristo». Poi un monito agli influencer presenti: «Non siamo qui per misurare la potenza dei nostri brand, ma per fare un esame di coscienza su come annunciamo il Regno di Dio nel nostro tempo».
Dietro le quinte dell’organizzazione, monsignor Lucio Ruiz ha voluto ricordare la radice spirituale di ogni sforzo digitale: «Chi ci ha chiamato alla missione è il Signore. La missione digitale è importante per la Chiesa, ma il suo fondamento resta la testimonianza della vita». Una linea ripresa dal neologismo caro a Papa Francesco, “samaritanare”: portare attenzione al dolore dell’altro come primo passo dell’evangelizzazione.
A rendere più profondo il respiro spirituale della due giorni è stato il gesuita padre David McCallum, con la sua relazione “Connessi alla Parola”, che ha riportato al centro l’unica connessione capace di dare senso a tutte le altre: quella con il Signore. Un’eco ripresa con forza da padre Antonio Spadaro, che ha invitato i presenti a un’autenticità radicale: «Voi non siete utenti della rete, scrollatori di contenuti, spettatori passivi. Siete qui perché sentite che il Vangelo ha una parola da dire nel flusso ininterrotto del web. Non dovete vendere voi stessi: tu non sei un brand, sei una benedizione».
Spadaro ha anche messo in guardia da una visione strumentale del digitale: «Non possiamo ridurre la rete a un semplice mezzo. Essere missionari digitali non significa solo usare TikTok o Instagram, ma abitare questo ambiente con fede. La rete ha bisogno di vita». Ha poi chiuso con una frase destinata a restare come manifesto della due giorni: «Il Vangelo non ci chiede di avere follower, ma di essere fratelli. Costruire comunità digitali è più importante di accumulare link: non basta connettere, bisogna incontrare».
I lavori del Giubileo sono proseguiti con tavole rotonde e laboratori, in cui i missionari digitali hanno condiviso progetti e fragilità, raccontando come il web possa essere al tempo stesso luogo di annuncio e terreno minato da odio e fake news. In più momenti è emersa la consapevolezza che la sfida non è tecnologica, ma profondamente umana: portare il Vangelo là dove regna la superficialità significa esporsi, essere presenti, farsi prossimi.
La giornata si è chiusa nella Basilica di San Pietro con l’adorazione e la liturgia penitenziale guidata dal cardinale Cobo Cano. Luci spente, nessuno schermo, solo il canto e il silenzio dell’Eucaristia. Nel cuore del Vaticano, ogni click ha ceduto il posto al contatto, e ogni parola al Verbo. Domani sarà il giorno del pellegrinaggio e del passaggio della Porta Santa, ma per molti la missione digitale è già iniziata: portare la luce del Vangelo in una rete spesso offuscata da conflitti e menzogne.