Perché a Bruxelles tremano per le 2.452 tonnellate d’oro italiano?

In Italia succede spesso che una frase dica più di una manovra. Questa volta è accaduto con una riga infilata nella legge di bilancio 2026: le riserve auree della Banca d’Italia “appartengono al popolo italiano”. Non un piano, non un colpo di mano. Una definizione. Tanto è bastato per far scattare l’irritazione europea. Quando la reazione è sproporzionata, di solito vuol dire che il nervo è scoperto.

I numeri, intanto, restano lì a disturbare.
L’Italia possiede 2.452 tonnellate di oro, terza riserva al mondo. Ai prezzi di fine 2025, con una media di 120.000 euro di valore al lingotto da 1 kg, siamo sui 300 miliardi d’euro di valore totale. È uno dei maggiori patrimoni pubblici reali dell’Unione Europea. Non un cimelio, ma una massa critica.

Dal punto di vista legale, nulla cambia. I Trattati europei blindano l’indipendenza delle banche centrali e vietano ai governi di usare l’oro per tappare buchi di bilancio o abbattere il debito. Senza il consenso della Banca Centrale Europea, quei lingotti non si muovono. Ma chi conosce la politica sa che non è la sostanza a far paura. È il significato.

Dire che l’oro è “del popolo” equivale a ricordare una verità che l’Europa preferisce tenere sotto silenzio: esistono asset che non dipendono dallo spread, dal QE o dalla benevolenza dei mercati. Asset che non si stampano e non si cancellano con una conferenza stampa. In altre parole, una sorta d’assicurazione contro il disastro.

Ed è qui che scatta il fastidio.
Perché in uno scenario estremo, ovvero l’implosione dell’euro e la frammentazione dell’Unione, 2.400 tonnellate d’oro sarebbero sufficienti a dare credibilità iniziale ad una nuova valuta nazionale, a fornire garanzie, a contenere il panico. Non sarebbe una passeggiata, ma sarebbe tecnicamente possibile. Il problema non è volerlo fare. Il problema è poterlo fare.

Il tempismo non è casuale. Con un debito oltre il 140% del PIL e nuove regole fiscali più rigide, ricordare di possedere una cassaforte piena è un messaggio negoziale. Garbato, ma chiarissimo: l’Italia non è un paziente senza alternative.

Poi c’è l’ipocrisia, che non passa mai di moda.
Nel 2007 la Spagna vendette circa un terzo delle proprie riserve auree senza che Bruxelles battesse ciglio. Allora era “gestione moderna delle riserve”. Oggi, con un governo meno allineato, persino nominare la proprietà popolare dell’oro diventa un atto sospetto. Le regole sono neutrali. Le reazioni, molto meno.

Morale della storia: l’oro resterà dov’è. Nessuno aprirà i caveau. Quindi tranquilli. Ma ricordare che esistono 2.452 tonnellate di sovranità solida rompe una favola comoda: quella di Paesi senza scelte.

E quando una favola finisce, anche chi la raccontava comincia a preoccuparsi.

di Marco Pugliese, Docente, Giornalista e analista economico