Alla Camera dei Deputati, nella solenne cornice della Sala della Lupa, si è tenuta la commemorazione dell’onorevole Riccardo Misasi, a venticinque anni dalla scomparsa. Un momento di memoria civile e umana, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per ricordare uno dei protagonisti della vita politica italiana del Novecento.
La relazione principale, intitolata “Un calabrese prestato all’Italia”, è stata affidata allo storico Agostino Giovagnoli, professore emerito dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e curatore del volume che raccoglie gli atti parlamentari e i discorsi politici di Misasi. Insieme a lui sono intervenuti Mariapia Garavaglia e Calogero Mannino, che con Misasi condivisero anni di impegno nella Democrazia Cristiana e nel governo. A moderare il dibattito è stato il giornalista Marco Damilano, che ha ripercorso la biografia politica e spirituale di un uomo di equilibrio, cultura e passione civile.
Dopo i saluti istituzionali del Presidente della Camera Lorenzo Fontana e della Vicepresidente Anna Ascani, ha preso la parola Maurizio Misasi, figlio dell’ex ministro e presidente della Fondazione “Riccardo Misasi”. Il suo intervento, intenso e personale, attraversato da fede e memoria, ha rappresentato il momento più toccante della cerimonia.
A soli 26 anni, Riccardo Misasi fu eletto deputato al Parlamento, dove venne confermato per sette legislature consecutive. Fu ministro in tre governi tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta: prima al Commercio con l’Estero, poi alla Pubblica Istruzione e infine al Mezzogiorno. Nel 1990, in polemica con il suo stesso partito, si dimise dal Governo Andreotti VI insieme agli altri ministri della sinistra democristiana, protestando contro l’approvazione della legge Mammì sulle televisioni.
Da ministro dell’Istruzione promosse una delle riforme più significative del tempo, favorendo l’accesso all’università per gli studenti dei ceti meno abbienti e consentendo ai diplomati degli istituti tecnici di iscriversi ai corsi universitari. Tra la metà e la fine degli anni Ottanta fu capo della segreteria politica della DC con Ciriaco De Mita segretario, e poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio quando De Mita divenne premier.
Durante il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, Misasi sostenne una linea trattativista. In una delle lettere dalla prigionia, Moro lo citò esplicitamente, chiedendo che fosse Misasi a convocare un Consiglio Nazionale della DC per discutere della drammatica situazione politica e morale del Paese.
Alla Calabria, Misasi lasciò un’eredità concreta e duratura. Fu tra i principali promotori della nascita dell’Università della Calabria ad Arcavacata di Rende e sostenne la creazione di una rete di scuole superiori diffuse su tutto il territorio regionale. Il suo impegno politico, pur nazionale, restò sempre radicato nella sua terra d’origine, che lo riconobbe come uno dei suoi figli migliori.

A venticinque anni dalla scomparsa, il ricordo del figlio Maurizio ha toccato tutti i presenti: “Quando vive un uomo? Quando decide per cosa morire, a cosa offrire la sua esistenza. Se il chicco di grano non muore. Riccardo Misasi è morto non venticinque anni fa, bensì il 10 giugno del 1940, per iniziare a vivere la vita che allora scelse di testimoniare, una vita per la libertà.
Il tema della libertà è lo snodo di ogni esistenza; il resto è sopravvivere, che pur detiene il suo contenuto di rilevanza. Cosenza, 10 giugno 1940. Durante una festa, arrivò la notizia che un comunicato importante sarebbe stato diramato via radio. Alle ore 18:00 venne pronunciata la storica dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna e alla Francia: ‘Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili.’ Ma ogni decisione irrevocabile ne genera altre.
Tutti i partecipanti a quella riunione esclamarono con grida di giubilo alla vittoria. Erano presenti Antonio Misasi, avvocato e antifascista dichiarato, e con lui il figlio Riccardo, di circa otto anni. Antonio Misasi aspettò che terminassero i commenti e poi pronunciò parole profetiche: ‘Questa è la fine di Mussolini. Perderemo la guerra perché non siamo pronti ad affrontarla e la finiremo a fianco degli Anglo-Francesi, perché non reggeremo l’alleanza con la Germania nazista!’
A quelle parole tutti si scagliarono contro di lui, insultandolo e cercando di aggredirlo. Il piccolo Riccardo, riempito di sdegno per quella violenza, si frappose con il proprio corpo per difendere il padre. Confidò poi a uno dei figli che quel giorno prese una decisione irrevocabile: disse a se stesso ‘Da grande combatterò per la libertà.’
Sappiamo che non c’è felicità, fine ultimo dell’uomo, senza libertà, e non c’è libertà senza coraggio. Riccardo Misasi bambino ebbe il coraggio di scegliere di vivere per la libertà. Ciò per cui vivi è in realtà ciò per cui muori. Questo è il senso di ogni martirio, di ogni testimonianza.
Sembrerebbe contraddittorio, per un uomo di libertà, considerare le decisioni come irrevocabili. Eppure ci sono scelte radicali e irrinunciabili: sono le ragioni di Antigone, sono le ragioni dell’uomo, quelle della coscienza che nessuna moda, nessuna legge, nessuna potenza possono violare. C’è uno spazio interiore nel cuore di ogni uomo che è il tabernacolo della sua identità, la sua propria libertà. Senza di essa non c’è più l’uomo, bensì lo schiavo.
Riccardo Misasi lascia una testimonianza di fede nella libertà, coniugata sempre alla moderazione del comprendere e nutrita da una capacità di ascolto dell’altro che ha caratterizzato tutto il suo agire. Sta a noi rendere viva questa sua testimonianza al servizio dell’uomo, per poter essere i ‘liberi e forti’.
Quel bambino, già politico, ci indica il potenziale valore rivoluzionario dell’essere figli: mettersi il padre sulle spalle. Non è quello che ha fatto Gesù? Tutto ciò che possiamo fare è imparare a essere figli.
Le parole di Gesù, ‘Non chiamate nessuno padre, non chiamate nessuno maestro’, ci indicano che possiamo solo essere figli, siamo tutti solo figli, per questo siamo tutti fratelli.
Essere figlio, dopo Cristo, diventa un titolo paritario e al contempo rivoluzionario, perché traduce la responsabilità del vivere il presente in un’azione coniugatrice e riformatrice tra l’auctoritas generativa delle culture e della storia e le prospettive del futuribile. Questo, se vogliamo, è ereditare la Terra: porsi umilmente nel mezzo e a servizio di questo divenire. La sensibilità di Riccardo Misasi si inscrive in questo solco cristico.
È scritto: i miti erediteranno la terra. Questa era la beatitudine che amava mio padre. Tutto il suo agire, nella mitezza e moderazione dei modi, gli consentì di essere radicale e risoluto nelle scelte essenziali: democratizzare e al contempo liberalizzare la scuola, cercare di salvare la vita di Aldo Moro contro una rigida ‘ragion di Stato’, diffondere e promuovere la cultura, creare sempre spazi nuovi di libertà e dialogo. Tutte queste cose sono inscritte nella sua scelta di attuare quella promessa.
Guardare al futuro con cuore antico era il suo motto. Papà, avevi un cuore antico e ci hai insegnato a custodirlo, sperando sempre in un futuro migliore. Ho solo una parola che porterò sempre con me, finché ci rivedremo, e te la riconsegnerò perché è tua: grazie.
Le parole di Maurizio Misasi hanno restituito, con profondità e verità, la dimensione più intima e spirituale di suo padre: un uomo politico che non separava mai la fede dalla responsabilità pubblica, la libertà dal servizio, la cultura dalla giustizia sociale. Dalla Calabria all’Italia, Riccardo Misasi ha incarnato l’idea di una politica come missione morale, radicata nella libertà e nella mitezza. Guardare al futuro con cuore antico, la sua frase più nota, resta oggi un invito più che mai attuale: tornare a pensare la politica come forma alta dell’essere umano, e la libertà come suo fondamento.







