Un conflitto istituzionale evocato come arma politica. Daniela Santanchè, ministra del Turismo, non si difende nel merito ma cerca rifugio nel Senato. La Giunta per le immunità, su richiesta della relatrice Erika Stefani (Lega), voterà martedì se portare davanti alla Consulta il caso delle email, delle chat e delle registrazioni acquisite dalla Procura di Milano senza previa autorizzazione parlamentare. È l’ennesimo tentativo di bloccare un procedimento giudiziario con uno strumento politico.
La mossa è chiara: sollevare un conflitto di attribuzioni e chiedere alla Corte costituzionale di stabilire se la corrispondenza digitale di una parlamentare possa essere utilizzata come prova. Un’interpretazione che la maggioranza brandisce per guadagnare tempo, in vista dell’udienza del 17 ottobre sul caso della cassa Covid di Visibilia, l’azienda fondata dalla ministra.
Il cuore della vicenda è noto: la Procura contesta a Santanchè e ad altri di aver ottenuto indebitamente fondi pubblici destinati ai dipendenti durante l’emergenza sanitaria. Parallelamente, la ministra è imputata, con altre 15 persone tra cui il compagno Dimitri Kunz e l’ex socio Giovanni Canio Mazzaro, per falso in bilancio. Qui le chat e gli sms sono già stati esclusi, come ha confermato il pm Luigi Luzi richiamando la sentenza della Consulta sul caso Open. Ma restano accuse pesanti, con piccoli azionisti ammessi come parti civili e un calendario d’udienze che arriva fino al maggio 2026.
Nel frattempo, in Giunta si agita lo spettro delle guarentigie parlamentari. Stefani cita precedenti della Consulta per sostenere che la corrispondenza elettronica rimane “corrispondenza” e non documento acquisibile senza permesso. Ma appare evidente che l’operazione abbia poco di tecnico e molto di politico: blindare la ministra, presentare i giudici come invasivi, scaricare sulla magistratura il peso delle accuse.
I numeri raccontano un fenomeno più ampio. Nel solo 2023, la Prefettura di Milano ha contato dodici provvedimenti interdittivi antimafia contro aziende sospette, molti dei quali basati proprio su email, chat e flussi bancari. Strumenti considerati essenziali dagli inquirenti, che ora il fronte politico vorrebbe limitare in nome di un privilegio parlamentare.
La posta in gioco è alta. Se il conflitto venisse accolto, l’intera impalcatura accusatoria potrebbe subire un rallentamento, se non un indebolimento. Intanto, però, il processo Visibilia va avanti: sedici udienze già fissate, con imputazioni di peso e un’attenzione crescente dei piccoli azionisti che denunciano bilanci manipolati.
L’ostruzionismo appare evidente: invece di affrontare il dibattimento, la ministra e la sua maggioranza scelgono di alzare muri procedurali. Una strategia che rischia di trasformare il Senato in un tribunale parallelo, un luogo dove si decide cosa i magistrati possano o non possano leggere. Resta una domanda che va oltre il caso Santanchè: fino a che punto il Parlamento può piegarsi a fare da scudo a un membro del governo, pur di proteggerlo dall’aula giudiziaria? Il rischio è che la politica, nel tentativo di difendere se stessa, finisca per erodere la fiducia dei cittadini nella giustizia e nelle istituzioni.