Scintille tra Tesoro e imprese: Giorgetti difende il rigore, Orsini chiede incentivi e bacchetta il ministro

Giancarlo Giorgetti

Le parole volano come frecce. Da una parte il governo, dall’altra gli industriali. Nel mezzo, la manovra da chiudere entro il 15 ottobre e un clima che si surriscalda di ora in ora. Lo scontro è frontale: Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, accusa l’esecutivo di pensare più ai conti che alla crescita; Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, replica rivendicando il rigore come garanzia di stabilità.

La scintilla è scoccata durante l’assemblea di Confindustria a Verona, quando Orsini ha affondato: «Scendere sotto il 3% di deficit va bene, ma a noi non serve un ministro della copertina più bella d’Europa». Un riferimento ironico ma tagliente al premio ricevuto da Giorgetti a gennaio dalla rivista The Banker, che lo aveva incoronato “Ministro delle Finanze dell’anno”.

La risposta del titolare del Tesoro è arrivata poco dopo, con toni misurati ma inequivocabili, dal palco dell’assemblea di Assonime. «I ministri, soprattutto quelli dell’Economia, sopportano l’onere politico di dire molti “no”, un peso ben maggiore del prestigio effimero di una copertina internazionale», ha detto Giorgetti, con un sorriso che nascondeva più di un fastidio.

Dietro le frasi di circostanza, si intravede una frattura profonda. Da un lato gli industriali che chiedono incentivi, sgravi, e un piano per rilanciare la produzione. Dall’altro il ministro che difende la prudenza dei conti pubblici come l’unico modo per garantire stabilità. «Avere i conti in ordine — ha ribadito Giorgetti — porta vantaggi a tutti: alle famiglie, alle imprese, ai risparmiatori».

E ha voluto tradurre la teoria in cifre: «Una diminuzione del tasso d’interesse di 100 punti base comporta un risparmio di circa mezzo punto percentuale della spesa per interessi nel triennio, ovvero 10 miliardi e mezzo. Sono soldi che non lasceremo sulle spalle delle prossime generazioni, né delle imprese di domani».

Il messaggio è chiaro: meno deficit, meno spread, più fiducia dei mercati. Un mantra che il ministro ripete da mesi e che, a suo dire, sta già producendo risultati. «Abbiamo portato lo spread da 250 a 80 punti base. La mole di interessi passivi — la voce più odiosa del bilancio pubblico — si è ridotta. Significa meno debiti e più risorse per la crescita».

Ma per Confindustria, non basta. Orsini continua a chiedere una manovra espansiva, capace di dare ossigeno alle imprese in un momento in cui export e produzione industriale rallentano. «Serve una politica industriale vera, non solo tagli e vincoli di bilancio», ripetono dal quartier generale di Viale dell’Astronomia. Il presidente degli industriali teme che la linea del rigore penalizzi la competitività e freni la domanda interna, soprattutto dopo i dati che mostrano un calo delle esportazioni e un aumento dell’import, in particolare dalla Cina.

Dietro lo scontro tecnico, però, c’è anche un messaggio politico. Giorgetti, consapevole delle tensioni nella maggioranza, manda un avvertimento ai colleghi di governo in vista del vertice a Palazzo Chigi. «Mi piacerebbe che i risultati conseguiti in materia di finanza pubblica fossero sentiti come propri da tutte le forze politiche e sociali», ha detto. Tradotto: nessuno chieda spese folli o regali elettorali.

Un modo elegante per ricordare a Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia che non ci sono margini per manovre espansive. Il ministro vuole chiudere la legge di bilancio entro il 15 ottobre, prima di volare a Washington per il vertice del Fondo Monetario Internazionale. I conti, garantisce, «sono sotto controllo», ma il margine di manovra è ridotto e ogni promessa dovrà fare i conti con Bruxelles.

Nel pomeriggio, a Palazzo Chigi, si sono riuniti i leader della maggioranza — Matteo Salvini, Maurizio Lupi e gli alleati del centrodestra — per fare il punto sulla manovra. Ma il gelo tra governo e imprese resta. «Il rigore non può diventare una gabbia», ha ribadito Orsini, convinto che servano misure più coraggiose per sostenere investimenti e occupazione.

Un confronto che sembra destinato a proseguire. Giorgetti non intende allentare la linea del rigore, Orsini non vuole rinunciare a rivendicare il ruolo dell’impresa come motore della crescita. E in mezzo, la premier Giorgia Meloni, che cerca di tenere insieme equilibrio dei conti e consenso politico.

«Stabilità finanziaria — ha concluso il ministro — significa proteggere il risparmio degli italiani, evitare attacchi speculativi e garantire alle imprese la possibilità di finanziarsi senza pagare un prezzo più alto dei concorrenti. È questo il vero vantaggio di avere i conti in ordine».

Parole che suonano come una risposta definitiva. Ma il fronte con gli industriali resta aperto: tra chi chiede più spesa e chi rivendica il rigore, l’autunno si preannuncia rovente. E la manovra, ancora una volta, sarà il terreno di scontro tra economia reale e calcolo politico.