Luca Zaia non è tipo da urla. Non lancia bicchieri, non sbatte le porte. È un democristiano dentro, uno che ti frega col sorriso e ti seppellisce con una stretta di mano. Ma se pensavi che bastasse un vaffa di Salvini per farlo rigare dritto, ti sei perso quindici anni di dominio assoluto in Veneto.
Matteo l’ha fatta semplice: “O ti candidi con la Lega e basta, o te ne stai a casa a fare il prosecco”. E invece il Doge non ci sta. Il terzo mandato gliel’hanno negato? Bene. Ma allora almeno gli lascino la sua lista. Quella che cinque anni fa ha preso il 44,6% dei voti, più del triplo della Lega. “E noi dovremmo far finta che non esista?”, ha tuonato il segretario di Gaiarine, Giuseppe Fantuz. “Sarebbe come tenere Maradona in panchina”.
Ecco, appunto: Zaia è il Diego del Nord-Est, e Salvini lo sa bene. È per questo che lo teme. Perché nel 2020, quando il Capitano annaspava, il Doge gli ha salvato la faccia. Ma ora che il vento gira, la gratitudine è evaporata.
Il retroscena è uno solo: Salvini non vuole morire zaiano. Teme che la lista personale lo surclassi. Che Forza Italia passi avanti. Che si veda troppo bene quanto sia diventato piccolo il Carroccio senza il traino del governatore. Perciò ha imposto il diktat: niente lista Zaia. O dentro o fuori. La risposta? Un silenzio che suona come una pernacchia.
La base si ribella, i comitati si autoconvocano, i sindaci lo implorano: “Luca, resta in campo. Con o senza Lega”. E il governatore, con quel tono da uomo che non alza mai la voce, ma non abbassa mai la testa, fa sapere che no, non accetterà imposizioni. Che non vuole decidere il candidato successore, ma la sua lista se la gioca. A tutti i costi.
E adesso il rischio è che a ottobre il Veneto diventi un Vietnam padano. Zaia da un lato con i suoi fedelissimi. Salvini dall’altro con i suoi colonnelli. Fratelli d’Italia che gongola. Forza Italia che affila le unghie. E la Lega, nel mezzo, a sbriciolarsi.
I numeri sono impietosi: secondo i sondaggi interni, la Lega in Veneto è inchiodata tra il 10 e il 12%. La lista Zaia sfiora il 40%. Capisci bene perché Salvini abbia il fiatone.
L’alternativa? Un governatore “debole” e assessori forti, magari fedeli a entrambi. Ma è fantapolitica. Zaia non è uomo da finte ritirate. “Ha una passione sfrenata per il Veneto”, racconta un suo fedelissimo. “Non mollerà mai, nemmeno per un ministero”. Anche se Salvini giura il contrario: “Luca sarà valorizzato”. Traduzione simultanea: “Luca avrà una poltrona se smette di rompermi le scatole”.
In realtà, da mesi il Doge prepara le mosse come un gran maestro di scacchi. Tace, ma osserva. Frequenta Mattarella, regala leoni di San Marco in vetro di Murano, scrive messaggi pubblici pieni di stima istituzionale. Tutto l’opposto del salvinismo da social. Col presidente della Repubblica ci va a braccetto. Col suo segretario di partito nemmeno si scambia più gli auguri di Natale.
E il candidato presidente? Un rebus. In quota Lega c’è Alberto Stefani, enfant prodige salviniano, trentadue anni e già deputato, sindaco, vicesegretario. Uno che piace anche a Zaia, per ora. Poi c’è il sindaco di Treviso, Mario Conte, o Elisa De Berti, avvocata veronese, attuale vicepresidente della Regione e ombra del Doge da anni. In quota Meloni ci sono invece due senatori: Luca De Carlo e Raffaele Speranzon. Entrambi aspirano alla corona. Ma il problema, per tutti, è sempre lo stesso: Zaia è ancora lì, che incombe.
E come lo convinci ad abdicare? Con le carezze? Ci hanno provato. Con le minacce? Figurati. Con i ricatti? Peggio che andar di notte. Zaia è troppo navigato per farsi incastrare. Non vuole comandare, vuole contare. E la sua lista è l’unico modo che ha per farlo. Perché se gli togli quella, lo togli dal radar.
Del resto, se il centrodestra vince lo stesso, è perché il Doge porta i voti dei moderati, di chi non si riconosce più nella Lega delle ruspe e dei selfie. È lui la vera forza d’attrazione. È lui che sposta. Ma il partito, nel suo cinismo, vuole spolparlo e poi rottamarlo.
E allora ecco il paradosso: l’unico che può garantire la vittoria viene tenuto ai margini per paura che brilli troppo. È come chiedere a Maradona di giocare in porta. Con la fascia di capitano, sì. Ma senza toccare palla.
Per ora, il duello resta sotterraneo. Ma l’autunno si avvicina. E in Veneto tira aria da regolamento di conti. Zaia non ha detto l’ultima. Salvini nemmeno. Ma il pubblico fischia già. E vuole sapere chi sarà il vero padrone del Nord.