Si complica il caso Almasri, tra mail, silenzi e mancate risposte: cosa sapeva davvero il governo?

Una mail arrivata di domenica, un arresto chiesto dalla Corte penale internazionale, un criminale di guerra lasciato libero di volare via con un aereo di Stato. E una lunga scia di giustificazioni che oggi traballano di fronte a ciò che è scritto nero su bianco.

Il caso Almasri è molto più di una questione burocratica o di un inciampo diplomatico. È uno snodo politico e giudiziario che sta per esplodere. Perché la documentazione in mano al Tribunale dei ministri racconta una storia molto diversa da quella riportata nelle dichiarazioni ufficiali. Una storia fatta di ritardi sospetti, riserbo pilotato, omissioni consapevoli. E che rischia di travolgere il ministro della Giustizia Carlo Nordio, nel mirino per omissione di atti d’ufficio.

I fatti sono noti: il 19 gennaio 2025, l’ex generale libico Osama Najeem Almasri, accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l’umanità, viene fermato a Torino. Due giorni dopo, su decisione della Corte d’appello di Roma, viene rilasciato e rimpatriato. Ma nel mezzo c’è un vuoto – o meglio, una responsabilità che oggi viene passata al setaccio dalle toghe.

Secondo quanto affermato da Nordio in Parlamento, il Ministero sarebbe stato informato “solo lunedì 20 gennaio” dell’arresto. Ma le carte dicono altro. Una mail inviata domenica 19 gennaio alle 12.37, già agli atti, smentisce questa versione: il Ministero sapeva. E la sua macchina si è mossa, sì, ma per non muoversi. Per prendere tempo. Per evitare di lasciare tracce. La mail, inviata da un funzionario dell’Interpol, menziona chiaramente: “Di Almasri parliamo su Signal”. Traduzione: meglio non scrivere nulla. Meglio tenere tutto fuori dai canali ufficiali.

Una richiesta che sarebbe arrivata dalla capa di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi, che invitava a non usare posta elettronica né protocolli, ma canali più riservati. Una prassi fuori dalle regole in una procedura tanto delicata quanto urgente. E che oggi espone il Ministero a una domanda scomoda: perché tutto questo silenzio?

Nel frattempo, gli uffici del Ministero – sollecitati dalla Corte d’Appello – avevano predisposto una bozza di un nuovo mandato d’arresto, l’unico strumento utile per evitare il rilascio del generale. Ma quella bozza è rimasta ferma, mai firmata, mai trasmessa. Nessun errore, insomma. Una scelta.

Il peso delle decisioni – o delle mancate decisioni – si gioca ora davanti al Tribunale dei ministri, che dopo mesi di lavoro è pronto a trasmettere le sue conclusioni. Il quadro è complesso: gli indagati eccellenti sono molti. Accanto a Nordio, figurano anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Per i primi tre si profila l’archiviazione, ma sul ministro della Giustizia resta in piedi l’ipotesi più pesante: non aver eseguito quanto richiesto dalla Cpi.

Eppure, proprio la Corte penale internazionale – con una nota durissima – ha chiarito che l’Italia avrebbe potuto correggere l’errore procedurale segnalato dalla Corte romana. Bastava un nuovo atto, da inviare al procuratore generale. Un’azione semplice, legittima, doverosa. E soprattutto: possibile.

Invece, niente. Almasri è tornato in Libia su un volo di Stato, mentre in Italia si sollevava il polverone. Ora è la procura generale libica ad annunciare un procedimento penale a suo carico, con accuse gravissime. Ma nel nostro Paese, il dibattito si è ormai spostato su chi ha mentito a chi.

Perché se da un lato Nordio continua a smentire ogni addebito – “gli atti che abbiamo smentiscono radicalmente quanto riportato” – dall’altro le opposizioni sono compatte nel chiedere le sue dimissioni. La segretaria del Pd Elly Schlein ha definito “gravissimo” il comportamento del governo, mentre Giuseppe Conte attacca senza filtri: “Abbiamo rimpatriato con un volo di Stato uno stupratore di bambini. E ora abbiamo le prove”. Anche Matteo Renzi rincara: “Un governo che mente alle Camere non può restare in carica”.

Nel frattempo, il Parlamento attende. L’informativa promessa da Nordio slitta. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani spiega che “si sta valutando”. Ma i tempi stringono. E le tre giudici del Tribunale dei ministri sono pronte a sciogliere il nodo.

L’ultimo passaggio è una formalità: comunicare alla Procura se chiedere l’autorizzazione a procedere o se archiviare. Se la prima strada verrà percorsa, si aprirà un caso politico destinato a pesare. Perché la maggioranza potrebbe proteggere il Guardasigilli, ma il danno d’immagine è già fatto.

Per ora resta una certezza: il Ministero sapeva, aveva gli strumenti per agire e ha scelto di non farlo. Il resto sono note di contorno. E questo “pasticciaccio brutto” – tra mail, chat criptate, bozzetti non firmati e voli di Stato – potrebbe diventare il primo vero scivolone giudiziario per un governo che ha sempre promesso “verità e legalità”. Ma che, almeno su Almasri, sembra averle dimenticate entrambe.