Trap, pistole e trofei: la nuova estetica della devianza giovanile. L’analisi del sociologo Ferrigni: «Più sei crudo, più sei vero»

Il fenomeno della trap è ormai un elemento dirompente della cultura giovanile. Non più soltanto un genere musicale, ma un vero e proprio linguaggio che permea e definisce una generazione, trasmettendo messaggi potenti e a volte inquietanti. A lanciare l’allarme è il sociologo Nicola Ferrigni, professore associato di Sociologia all’Università degli Studi della Tuscia.

Da Simba La Rue a Paky, la trap diventa «spazio ideologico»

«Nel cuore pulsante delle periferie italiane, tra palazzoni anonimi e sogni compressi, risuona un battito costante, martellante, inconfondibile: è quello della trap, la colonna sonora di una generazione che urla, spara, si vanta, sopravvive», afferma Ferrigni.

Il sociologo prosegue: «Titoli come ‘TAF TAF’ di Simba La Rue o ‘Street Life’ di Paky non sono semplici canzoni: sono diari urbani, confessioni in rima, ma anche – e questo è il nodo centrale – potenziali detonatori sociali.» La trap, quindi, non è solo musica, ma uno spazio ideologico in cui ogni battito diventa simbolo di lotta, ogni strofa una dichiarazione di identità.

«Il suo ritmo incalzante e ossessivo non accompagna soltanto il testo, ma lo amplifica, lo trasforma in una chiamata alle armi, in un inno da squadra, in cui l’ascoltatore non è spettatore, ma membro attivo», prosegue il Professor Ferrigni, mettendo in luce l’intensità emotiva e il coinvolgimento che caratterizzano il fenomeno.

I testi di canzoni come «Jumpman» o «Vada come vada», secondo Ferrigni, non sono semplicemente un’espressione artistica, ma un’esperienza di appartenenza. «È sentirsi parte di un branco con regole proprie, una gang sonora in cui ‘essere veri’ significa accettare la legge del più duro», afferma, sottolineando il lato identitario e quasi tribale che caratterizza questo genere musicale.

Trap, l’analisi delle canzoni di Ferrigni

Il sociologo analizza anche i contenuti espliciti di alcuni brani: «I testi parlano chiaro: armi, droga, donne oggetto, rifiuto del lavoro. Mikush in ‘YO’ ostenta sé stesso come fosse un brand, mentre RRARI Dal Tacco e Tony Effe in ‘Mai avuto un lavoro’ rovesciano l’etica del sacrificio in orgoglio del reato. Non c’è spazio per la fatica o il merito, solo per la scorciatoia.»

La riflessione si fa ancora più profonda quando Ferrigni osserva: «Quando la criminalità viene esaltata, la donna ridotta a trofeo e l’arma diventa status symbol, il rischio non è solo l’identificazione, ma l’emulazione». Secondo l’esperto, il battito della trap diventa una forma di droga sensoriale che anestetizza il messaggio, pur scolpendolo indelebilmente nella mente degli ascoltatori.

Oggi, sostiene Ferrigni, non siamo più nella fase della stigmatizzazione, ma nel pieno di un processo in cui la devianza viene estetizzata e venduta: «la trap non si limita a raccontare la realtà dei quartieri difficili: la trasforma in stile, in brand, in prodotto da esportare».

Le conclusioni: è solo musica?

E la conclusione è decisa: «Il sociologo Pierre Bourdieu avrebbe parlato di capitale simbolico: oggi, nella trap, il capitale è la violenza. Più sei crudo, più sei vero. Più sei sporco, più sei puro. È un cortocircuito perfetto per una generazione a cui è stato tolto tutto: il lavoro, la stabilità, l’orizzonte. Se tutto è precario, allora almeno la rabbia sia autentica».

«Numeri alla mano, sempre più giovani sono coinvolti in risse, reati documentati sui social, baby gang che usano il gergo trap come linguaggio operativo. Non è un caso», aggiunge Ferrigni. «È un ecosistema che funziona e si autoalimenta. E in questo ecosistema, la musica non è innocente. È colonna sonora, è palestra retorica, è addestramento emotivo».

In un’analisi finale, il professor Ferrigni si interroga su una questione fondamentale: «Possiamo davvero continuare a dire che ‘è solo musica’? O dobbiamo ammettere che dietro quei beat, dietro quei ‘taf taf’, si nasconde un grido d’allarme che abbiamo ignorato troppo a lungo?»