Tre giri per la gloria: l’Oca conquista il Palio di Siena con Tittia, ed è festa in città fino all’alba

Alla fine ha vinto l’Oca. Giovanni Atzeni, detto Tittia, ha guidato Diodoro verso la gloria, tagliando il traguardo davanti a tutti. Tre giri fulminei, un boato assordante, bandiere al cielo e lacrime di gioia. Siena ha vissuto ancora una volta il suo miracolo collettivo.

Il Palio si è corso oggi, recuperato dopo il rinvio per pioggia del giorno precedente, ma nulla ha smorzato l’energia che solo questa città riesce a sprigionare. Piazza del Campo, con la sua conchiglia di tufo stretta tra i palazzi, ha vibrato come un cuore antico. Tutto era pronto: le contrade, i cavalli, le attese, le benedizioni. E alla fine, c’è stato un solo nome da urlare, come si fa solo qui, a voce rotta e occhi lucidi.

Il Palio non è una corsa. È un’identità che prende forma, si fa suono, danza, preghiera. Per i senesi è un atto di fede, una liturgia pagana e profonda che si tramanda di generazione in generazione. Non basta guardarlo, bisogna respirarlo. Ogni gesto, ogni sguardo ha il peso di una storia secolare. E oggi, quella storia ha aggiunto una pagina con i colori dell’Oca.

L’attesa era tesa, sospesa. La mossa – quel momento caotico, febbrile, in cui i cavalli si allineano al canapo – ha tenuto tutti col fiato bloccato in gola. Quando finalmente è partita la corsa, la piazza ha smesso di essere un luogo: è diventata tempo puro. Tre giri che sembrano nulla, ma che per chi corre valgono quanto un’intera vita. Giri in cui si rischia tutto, si vince tutto, si perde tutto. Senza prove, senza appello.

Tittia ha mostrato, ancora una volta, perché è considerato uno dei più grandi fantini contemporanei. Intelligenza tattica, coraggio, una fusione perfetta con il suo cavallo. Ha guidato Diodoro con fermezza e istinto, approfittando della traiettoria interna, resistendo alla pressione, mantenendo il sangue freddo nel momento decisivo. Un trionfo che sa di maturità, esperienza, e simbiosi con la piazza.

Dietro a quei pochi minuti c’è un mondo. Mesi di preparazione silenziosa, strategie sussurrate, tensioni tra contrade, alleanze e tradimenti, rituali che resistono al tempo. Ogni cavallo ha dormito con il suo barbero, ogni contrada ha vegliato e pregato. Ogni mossa è stata calcolata, ogni scelta pesata. Ma poi, al Palio, accade sempre l’imprevedibile. Ed è lì che si vede il fuoco di chi vince.

La contrada dell’Oca ora festeggia. Campane a stormo, botti in cielo, abbracci senza parole. Il Drappellone, dipinto quest’anno con colori intensi e simboli solenni, è già in viaggio verso la sede contradaiola, dove resterà come un trofeo sacro. Ogni bambino dell’Oca oggi ha imparato il significato della parola “gloria”. E ogni anziano ha rivisto negli occhi di Tittia le corse di una vita.

Ma anche chi ha perso, oggi, porta via qualcosa. Perché il Palio non è solo la vittoria, è il rito. È il camminare in corteo con il cuore in gola. È il pianto senza vergogna quando il cavallo inciampa. È il canto sussurrato per strada, quando la notte scende e le bandiere restano a mezz’asta. A Siena, la sconfitta non è un’onta: è parte della fede. Una fede che non chiede spiegazioni, solo appartenenza.

E poi ci sono loro, i cavalli. Veri protagonisti, amati, temuti, protetti. Nessun altro evento al mondo ruota attorno a un animale con così tanta devozione. Ogni barbero viene benedetto, coccolato, amato come un membro della famiglia. La corsa è breve, ma l’intensità del legame che si crea tra cavallo e popolo non ha paragoni. È un rapporto viscerale, istintivo, sacro.

Il Palio è anche questo: uno specchio di ciò che eravamo, e di ciò che, in fondo, vogliamo ancora essere. Una comunità, un sentimento condiviso, un grido che rompe il silenzio. Nonostante il mondo cambi, Siena resta lì, piantata nella sua storia come una quercia millenaria. Due volte l’anno, tutto si ferma. E due volte l’anno, tutto riparte da un galoppo.

Stasera, mentre le luci si spegneranno lentamente su Piazza del Campo, una sola contrada dormirà con il cuore pieno. Ma il Palio non finisce mai davvero. Comincia subito il conto alla rovescia per il prossimo. I tamburi taceranno solo per poco. Le bandiere torneranno presto a sventolare. E un’altra storia, in un altro luglio o un altro agosto, sarà pronta a essere scritta.

Perché a Siena non si corre per sport. Si corre per il sangue, per il nome, per l’eternità.