Donald Trump ha deciso di alzare la voce anche contro Hollywood. E lo ha fatto nel suo stile, annunciando su Truth Social una nuova misura destinata a far tremare l’industria cinematografica mondiale: un dazio del 100% su tutti i film girati al di fuori degli Stati Uniti. Una decisione che, oltre a mettere in crisi le coproduzioni internazionali e a svuotare gli studios di Cinecittà, rischia di colpire duramente un nome che gli è particolarmente vicino: Mel Gibson.
Il regista e attore australiano naturalizzato statunitense, da sempre simpatizzante dell’area conservatrice, è impegnato in questi mesi nelle riprese del sequel della Passione di Cristo, girato tra Roma, Matera, il Marocco e Israele. Un progetto monumentale, in due parti, che Gibson ha deciso di finanziare di tasca propria dopo essere stato isolato dai grandi studios per le sue posizioni politiche e religiose. Ma con l’entrata in vigore della tariffa del 100%, anche il suo film rischia di diventare un incubo economico.
La misura, spiegano i media americani, colpisce tutti i prodotti cinematografici “non interamente realizzati in territorio americano”, includendo quindi set esteri, maestranze e studi di post-produzione fuori dai confini. In pratica, qualsiasi film che utilizzi anche solo una location europea o asiatica verrebbe tassato pesantemente al momento dell’importazione per la distribuzione negli Stati Uniti.
Per Gibson, che ha già speso oltre 150 milioni di dollari per il progetto e che conta di concludere le riprese entro la primavera 2026, l’impatto sarebbe devastante. Fonti vicine alla produzione raccontano che la squadra sta valutando possibili soluzioni, tra cui la richiesta di un’esenzione speciale motivata dal valore “artistico e spirituale” dell’opera. Una scelta che, nel caso di un intervento diretto di Trump, avrebbe il sapore di un favore personale.
Ma il caso Gibson non è l’unico. Anche Odyssey, il kolossal di Christopher Nolan in lavorazione tra Grecia, Marocco, Sicilia e Regno Unito, rientrerebbe nella lista delle pellicole a rischio. E con lui decine di altri progetti internazionali, compresi quelli di registi americani che da anni scelgono set europei per ragioni estetiche o fiscali.
Il messaggio di Trump, diffuso con toni da campagna elettorale, è stato diretto e minaccioso: «La nostra industria cinematografica è stata rubata da altri Paesi come rubare le caramelle a un bambino. La California, con il suo governatore debole e incompetente, è stata particolarmente colpita! Pertanto, imporrò un dazio del 100% su tutti i film girati al di fuori degli Stati Uniti».
Un proclama che ha lasciato attoniti produttori e attori. «Trump non sa nulla di cinema, ma adora fare annunci che poi qualcun altro dovrà smentire», ha commentato ironicamente il portale Showbiz 411. Intanto, tra le vittime collaterali, rischiano di finire anche i colossi delle piattaforme streaming, che basano buona parte delle loro produzioni in Europa.
In Italia, la decisione ha scatenato l’allarme tra gli addetti ai lavori. Cinecittà, che negli ultimi anni ha ritrovato una nuova stagione d’oro grazie ai grandi set internazionali, potrebbe veder sfumare decine di produzioni già programmate. «Un colpo durissimo — spiegano dagli studios romani — perché Hollywood rappresenta oltre il 60% del nostro giro d’affari».
Sul fronte politico, la mossa trumpiana appare più simbolica che realmente applicabile, ma il suo effetto è già tangibile. Mentre l’industria americana si divide tra chi applaude il ritorno al “cinema patriottico” e chi parla di protezionismo autolesionista, Mel Gibson si trova nel mezzo di un paradosso: colpito dal bando del suo stesso presidente.
Eppure, conoscendo la vicinanza tra i due, in molti scommettono che arriverà una deroga su misura. Trump, tra un comizio e l’altro, potrebbe sempre dire che “Dio gliel’ha chiesto”. Nel frattempo, La Passione di Cristo 2 rischia di trasformarsi nella metafora perfetta dell’America trumpiana: una croce da portare fino all’ultimo ciak.