Trump in tv scarica tutto su Biden, ma i numeri lo smentiscono: gradimento al 36%, carovita duro e fact-check impietosi

Donald Trump sceglie la strada dell’offensiva frontale e, per quasi venti minuti, trasforma il discorso alla nazione in un processo al suo predecessore. La scaletta è chiara, il tono pure: se qualcosa non funziona, la colpa è di Joe Biden. Se invece qualcosa migliora, è merito suo. «Undici mesi fa ho ereditato un disastro e lo sto risolvendo», dice, mettendo il carovita in cima alla lista delle emergenze “ereditate” e presentandosi come l’uomo chiamato a riparare il motore mentre l’auto corre.

Il problema è che, mentre la Casa Bianca prova a imporre una narrazione di ripresa, i segnali politici vanno in direzione opposta. Secondo l’ultimo rilevamento Gallup riportato nel testo che mi hai fornito, il gradimento di Trump è sceso al 36%: il punto più basso da quando è tornato alla Casa Bianca, appena sopra il minimo storico toccato dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Tradotto: anche per un presidente abituato a vivere di polarizzazione, il vento non è quello dei giorni migliori.

Dentro il discorso, Trump usa la sua arma preferita: le cifre. Snocciola numeri per dimostrare che la sua economia “funziona”, che i salari correrebbero più dell’inflazione e che i prezzi starebbero calando rapidamente. Il passaggio più efficace, e anche più rischioso, è quello sui beni-simbolo della pancia americana: il tacchino del Ringraziamento e le uova. Trump rivendica un tacchino in calo del 33% e uova giù dell’82% rispetto a marzo. Numeri pensati per essere ripetuti, memorizzati, rilanciati nei talk e sui social.

E infatti il contraccolpo arriva immediatamente, perché quei dati vengono contestati dai fact-checker americani. Secondo Cbs, sempre nel testo che hai riportato, il prezzo del tacchino sarebbe invece aumentato del 40% rispetto all’anno scorso, mentre le uova sarebbero scese “solo” del 43%. A quel punto la frattura diventa il vero tema: non la politica economica in sé, ma la credibilità della sua rappresentazione. Quando la battaglia si sposta sul terreno dei numeri, chi perde la precisione perde anche una parte del racconto.

Il quadro economico descritto resta, comunque, complesso e poco adatto alle fanfare. La disoccupazione viene indicata al 4,6%, massimo dal 2021, mentre l’inflazione rimane al 3%, ancora ben oltre l’obiettivo della Federal Reserve. E soprattutto c’è un dato che pesa più di qualunque percentuale: la percezione quotidiana. Tre quarti degli americani, riporta ancora Cbs, lamentano che gli stipendi non riescono a compensare il carovita. È una frase semplice, quasi banale, ma è la sostanza che decide le elezioni: non quanto cresce un indice, ma quanto resta nel portafogli dopo aver fatto la spesa.

Per cambiare l’umore, Trump annuncia una misura dall’effetto assicurato: un assegno da 1.776 dollari per quasi un milione e mezzo di militari, il “warrior dividend”, richiamando l’anno dell’Indipendenza americana. È una scelta che unisce simbolo e marketing politico: patriottismo in cifra tonda, con un nome pensato per funzionare come slogan. Nello stesso passaggio, però, il presidente chiede pazienza agli americani: il 2026, promette, porterà «un boom economico come il mondo non ha mai visto prima». La promessa è enorme, quasi apocalittica nel linguaggio. E quando le promesse diventano così grandi, il rischio è che diventino anche fragili.

Sui dazi, Trump resta Trump: li difende con forza, li ribattezza ancora una volta «la mia parola preferita» e sostiene che avrebbero già attirato 18.000 miliardi di investimenti. Anche qui il punto non è soltanto la politica commerciale, ma il messaggio: l’idea di un’America che alza muri economici per costringere il mondo a sedersi al tavolo. Funziona bene nella retorica. Molto meno, spesso, nel conto finale che sente il consumatore quando i prezzi non scendono come promesso.

Il tempismo del discorso non è casuale. Nel testo si parla di una mossa strategica mentre emergono dati economici preoccupanti dopo lo shutdown, con l’orizzonte delle midterm che inizia a diventare il vero calendario politico. Quando un presidente parla alla nazione, di solito sta parlando anche ai collegi elettorali. E quando insiste sul fatto che “andrà tutto meglio”, sta anche dicendo che il momento in cui viene giudicato è già cominciato.

In controluce, resta un paradosso: Trump prova a blindare la sua leadership con la stessa tecnica con cui l’ha costruita, cioè trasformando ogni difficoltà in un attacco e ogni attacco in un’occasione. Ma un’offensiva, se ripetuta, finisce per raccontare anche l’esistenza di un problema. E i numeri citati — gradimento al 36%, carovita percepito come insostenibile per molti, fact-check immediato sulle cifre-simbolo — descrivono un presidente che parla come se fosse in vantaggio, mentre una parte del Paese sembra ascoltarlo come se fosse già sotto esame.