Nel Lazio la sanità pubblica crolla: il privato incassa, i cittadini rinunciano alle cure

I numeri più recenti sono inconfutabili e drammatici. Nel 2023, secondo il rapporto della Fondazione GIMBE, la spesa sanitaria privata media pro capite nel Lazio ha raggiunto 852 euro, ben al di sopra della media nazionale (730 euro). Se guardiamo al nucleo familiare, la spesa privata annuale media per la salute sfiora i 1.852,2 euro, un valore che colloca il Lazio come la regione con il più alto costo sanitario a carico delle famiglie.  

Nel 2023 la Regione Lazio ha destinato ben il 29,3 % della propria spesa sanitaria pubblica al privato convenzionato — la percentuale più alta d’Italia. È una cifra che non lascia spazio a interpretazioni: una fetta impressionante di risorse pubbliche viene dirottata verso operatori privati, svuotando il servizio pubblico e rafforzando un modello in cui la salute diventa progressivamente un mercato

A pagare non sono solo le tasche, ma la dignità e il diritto alla cura: sempre nel 2023, ben il 10,5% delle famiglie laziali ha dichiarato di aver rinunciato a visite, esami o prestazioni sanitarie — a causa di costi troppo alti o di attese indisponentemente lunghe — rispetto a una media nazionale del 7,6%. Nel medesimo contesto nazionale, la GIMBE stima che la spesa privata complessiva abbia superato i 40 miliardi di euro e che circa il 40% delle prestazioni pagate privatamente risultino “inutili” o non rispondenti a reali bisogni di salute.

I dati mostrano una trasformazione profonda: chi può paga il privato, chi non può rinuncia alle cure. Nel Lazio la sanità non è più un diritto garantito, ma un costo e un ostacolo. Le responsabilità politiche sono evidenti: anni di tagli, mancati investimenti, esternalizzazioni e abbandono del potenziamento degli ospedali hanno aumentato la spesa privata e le rinunce alle cure.

Chi ha governato e governa il Lazio ha trasformato la salute in un mercato. Zingaretti, nel 2022, ha accelerato il ricorso al privato convenzionato, mentre la giunta Rocca ha confermato lo stesso modello, continuando ad affidare gran parte delle prestazioni a cliniche private, lasciando il servizio pubblico sottofinanziato e incapace di rispondere ai bisogni dei cittadini.

Il risultato è evidente: nonostante gli stanziamenti annunciati, molte prestazioni non rientrano nel circuito pubblico, le attese si allungano, l’accessibilità peggiora e il ricorso al privato continua a crescere. Ogni euro sottratto al rafforzamento della sanità pubblica finisce per alimentare profitti privati. Non si tratta più di supposizioni, ma di una realtà che grava sulla salute e sulle tasche di migliaia di cittadini.

Chiediamo quindi con forza che queste responsabilità siano riconosciute e rovesciate con decisione. Serve un progetto nuovo: investimenti certi nella sanità pubblica; assunzioni reali e stabili; riapertura dei reparti chiusi; abbattimento reale delle liste d’attesa; monitoraggio pubblico dell’accesso alle prestazioni; stop all’uso massiccio del privato convenzionato come “valvola di sfogo” di un sistema ridotto allo stremo. La salute non può essere un business. Chi ha il potere di cambiarne le regole ha il dovere di farlo — subito.