La grande riforma della sanità territoriale promessa dal Pnrr rischia di rimanere un gigantesco cantiere immobile. Le scadenze sono scritte nero su bianco: entro agosto 2026 l’Italia deve aver completato la rete delle Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità e gli interventi per rendere il sistema sanitario più moderno, più vicino alle persone, più resiliente dopo la lezione della pandemia. Ma a poco più di un anno e mezzo dalla deadline imposta da Bruxelles, i numeri raccontano un’altra storia: quella di un Paese che accumula ritardi su ritardi, non spende, non costruisce e non riesce a far correre un piano che invece sarebbe vitale per il futuro della sanità pubblica.
Il sistema ReGis, il portale ufficiale di monitoraggio del Pnrr, aggiorna la fotografia a giugno ed è un quadro difficile da ignorare. La Missione 6, dedicata alla salute, ha speso appena il 34,4% dei fondi disponibili: 6,6 miliardi su 19,3, di cui 14,5 provenienti direttamente dall’Europa. È una percentuale che, da sola, basterebbe a preoccupare. Ma il dato veramente allarmante riguarda lo stato di avanzamento dei progetti: su 10.100 interventi previsti, ne sono stati completati poco più di un terzo, il 38,2%.
La situazione peggiora drasticamente quando si entra nel dettaglio delle opere più attese dai territori. Le Case della Comunità — pensate per diventare il cuore dell’assistenza di prossimità, con servizi di base, prevenzione, vaccinazioni, prelievi, visite mediche e sportelli sociosanitari — sono ancora in alto mare. L’investimento M6-C1.01, che vale 2,8 miliardi di euro e finanzia 1.415 progetti, ha visto muovere pagamenti per appena 486,1 milioni. Significa che a pochi mesi dalla scadenza è stato utilizzato soltanto il 17,1% dei fondi. E ancora più clamoroso è il numero delle strutture effettivamente terminate: appena 50 in tutta Italia, il 3,5% del totale.
Non va meglio sul fronte degli Ospedali di Comunità, le strutture a gestione prevalentemente infermieristica che dovrebbero garantire cure intermedie e accompagnare i pazienti nel passaggio dall’ospedale al rientro a casa. L’investimento M6-C1.02 stanzia 1,3 miliardi per 428 progetti, ma quelli completati sono soltanto 14, pari al 3,3%. Di questi, appena 4 risultano collaudati. È un ritmo che, secondo le stime della Cgil, richiederebbe almeno cinque o sei anni per portare a termine tutte le opere. Anni che il Pnrr non concede, visto che per Bruxelles l’orologio scade nell’estate del 2026.
Anche il programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”, che riguarda 198 interventi di adeguamento e ammodernamento delle strutture sanitarie esistenti, procede a rilento. A oggi risultano completati solo 28 lavori. Un dato che pesa ulteriormente su un sistema ospedaliero che avrebbe urgente bisogno di strutture più moderne, più efficienti e meglio attrezzate.
L’effetto combinato di questi ritardi è evidente: la sanità territoriale immaginata nel Pnrr, quella che dovrebbe alleggerire gli ospedali, gestire la cronicità, intercettare il bisogno sanitario prima che diventi emergenza, rischia di non vedere la luce nei tempi previsti. Le risorse ci sono, ma non vengono trasformate in cantieri. I progetti esistono, ma non avanzano. Le Regioni arrancano e il Governo si ritrova a fare i conti con un meccanismo che non riesce a correre nonostante l’urgenza.
In tutto questo, lo scarto tra ciò che era stato promesso e ciò che è stato realizzato diventa sempre più evidente. Le Case della Comunità dovevano rappresentare la svolta dopo l’emergenza Covid: poli vicini alle persone, capaci di ridurre l’ospedalizzazione e di permettere una presa in carico continua. Gli Ospedali di Comunità dovevano essere la risposta strutturale alle troppe dimissioni difficili, a quei pazienti fragili che si ritrovano spesso senza continuità assistenziale. Nulla di tutto questo, però, sembra destinato a realizzarsi in tempo.
La domanda che rimbalza tra amministratori, tecnici e osservatori è sempre la stessa: come recuperare un ritardo che sembra ormai abissale? E soprattutto: che cosa accadrà quando, nel 2026, Bruxelles chiederà il conto? A oggi non c’è una risposta chiara. C’è però un dato che pesa come un macigno: con questo ritmo, la rivoluzione sanitaria del Pnrr è già in deficit di anni. E il rischio concreto è che, quando finalmente le strutture apriranno davvero, l’Europa avrà già chiuso il dossier.







