Dietro ogni numero c’è una storia. Una voce rotta, un silenzio forzato, una porta chiusa in faccia dopo un coming out. Le persone LGBTQIA+ continuano a subire violenze, discriminazioni e abbandoni. E i dati, purtroppo, parlano chiaro.
Nel solo ultimo anno, sono stati oltre 21 mila i contatti raccolti da Gay Help Line 800 713 713 e dalla chat Speakly.org. Un grido d’aiuto che si fa sempre più forte. Il 65% di chi si è rivolto al servizio ha raccontato di aver subito violenze o discriminazioni, un aumento drammatico rispetto al già alto 53% dell’anno precedente.
A fare più male è la violenza che arriva da chi dovrebbe accoglierci: il 48,7% ha raccontato di essere stato respinto, umiliato o aggredito dopo il coming out in famiglia. Colpisce soprattutto i più giovani, adolescenti spesso costretti a nascondersi, a scappare o a vivere in solitudine. Crescono anche le minacce, le molestie (28,2%) e le aggressioni fisiche (12%). Alcuni hanno subito persino rapine a sfondo omotransfobico (3,4%), con un impatto devastante, in particolare sulle donne transgender.

Eppure, pochi trovano la forza di denunciare. Solo il 12,8% si è rivolto alle forze dell’ordine. Troppa paura, troppa sfiducia. Perché in Italia, ancora oggi, non esiste una legge che protegga davvero chi viene colpito per ciò che è. E spesso le vittime non sono nemmeno dichiarate in famiglia o sul lavoro, costrette al silenzio per sopravvivere.
Questo dolore non si ferma al corpo: entra nella mente. Il 30,3% di chi ha chiesto aiuto ha riportato sintomi gravi di ansia, isolamento e disperazione. C’è anche chi è stato sottoposto a “terapie di conversione” (10,8%), pratiche non scientifiche e profondamente violente, ancora oggi imposte da gruppi religiosi che vogliono “curare” ciò che non è malattia.
Sul piano sociale, il quadro è altrettanto allarmante. Il 34,5% ha vissuto situazioni di emergenza abitativa, spesso cacciati di casa solo per aver detto la verità su sé stessi. Il 10,8% ha chiesto aiuto per trovare lavoro, ma il contesto rimane ostile: il 31,4% ha subito discriminazioni nel mondo del lavoro, una percentuale che arriva al 41,1% per le persone trans e non binarie.
E a scuola? Dove si dovrebbe imparare il rispetto e la convivenza? Anche lì crescono le ferite: l’8,5% ha subito bullismo omotransfobico, e a far ancora più male è la solitudine che ne deriva. Troppi giovani imparano presto a censurarsi, a nascondere chi sono, e alcuni, purtroppo, cadono nel buio dei pensieri suicidari.
Nonostante tutto, esiste una rete di supporto che ogni giorno lotta per non lasciare nessuno indietro. “Gay Help Line ha attivato percorsi personalizzati, fornendo supporto legale (32,8%), psicologico (68,4%), sanitario (12,6% per l’accesso alla terapia ormonale) e di accoglienza (34,5%)” ha dichiarato Alessandra Rossi, Coordinatrice del servizio.
Oggi, in occasione della Giornata mondiale contro l’omobitransfobia, questi numeri non devono restare solo statistiche. Sono vite. E chiedono attenzione, protezione, ascolto. Perché ogni persona LGBTQIA+ possa sentirsi al sicuro nel proprio corpo, nella propria casa, nella propria comunità. E perché nessuno debba più avere paura di essere se stesso.
Perché dietro ogni porta sbattuta in faccia ci possa essere sempre una aperta pronta all’amore.
Siamo tutti esseri umani. Amiamoci. Tutt*.