Conservatore ma brillante, critico verso i Democratici ma duro anche con Vance, Dolan è il volto più mediatico della Chiesa americana. Amico di Trump, prega su Instagram e sogna il soglio pontificio. Ma proprio quella vicinanza politica potrebbe tagliarlo fuori dal Conclave.
Il cardinale Timothy Dolan, 74 anni, arcivescovo di New York, è una delle figure più riconoscibili del cattolicesimo americano. Uomo dalla comunicazione brillante, simpatico, diretto, conservatore senza essere integralista, è spesso indicato tra i papabili al prossimo conclave. A rilanciare il suo nome, tra serio e faceto, è stato perfino Donald Trump, che nel 2020 lo ha definito “grande amico” e “cardinale molto bravo”, aggiungendo: “Abbiamo bisogno di lui più che mai”.
Nato nel 1950 a St. Louis, Missouri, Dolan è stato ordinato sacerdote nel 1976. Ha studiato a Roma al Pontificio Collegio Americano del Nord, dove ha imparato l’italiano e ottenuto un dottorato in storia della Chiesa. Dopo un primo incarico a Saint Louis, Giovanni Paolo II lo nomina vescovo ausiliare nel 2001, per poi promuoverlo arcivescovo di Milwaukee nel 2002. Nel 2009, su indicazione di Benedetto XVI, diventa arcivescovo di New York. Cardinale dal 2012, ha presieduto la Conferenza episcopale americana tra il 2010 e il 2013.
Dolan è noto per il suo stile colloquiale, televisivo, capace di affascinare anche i più lontani dalla fede. Spesso ospite in talk show, interviene regolarmente sui social e produce brevi video in cui commenta Vangelo, attualità e temi morali. Questa forte esposizione mediatica gli ha guadagnato l’etichetta di “personalità del web”. Ma dietro l’immediatezza, Dolan porta avanti una visione teologica molto chiara: contrarietà all’aborto, alle unioni omosessuali, alla contraccezione. Posizioni che lo collocano nella sfera conservatrice, anche se con toni spesso più dialoganti rispetto ad altri porporati.

La sua vicinanza a Trump, per quanto discussa, è un dato di fatto. Nel 2017 Dolan ha aperto con una preghiera la cerimonia di insediamento del presidente, e nel 2020 ha partecipato alla convention repubblicana. Una telefonata resa pubblica da Crux rivelò i toni amichevoli tra i due, con Trump che si autodefiniva “il miglior presidente nella storia della Chiesa”. Questo legame potrebbe penalizzarlo in conclave, dove gran parte dei cardinali elettori è di nomina bergogliana e potrebbe non gradire un profilo così esposto politicamente.
Tuttavia Dolan non è un estremista. Quando nel 2025 il vicepresidente americano J.D. Vance ha accusato la Chiesa di lucrarsi sull’immigrazione, Dolan ha risposto con fermezza, difendendo la storica vocazione della Chiesa ad accogliere i migranti e respingendo ogni accusa di speculazione. Una risposta che ha mostrato la sua capacità di smarcarsi dalla propaganda più becera, pur restando ancorato ai valori tradizionali.
A New York ha riorganizzato l’arcidiocesi, chiudendo scuole e parrocchie in difficoltà economica. Decisioni impopolari ma necessarie, che lo hanno mostrato come un amministratore deciso. Nel 2015 ha partecipato alla parata del giorno di San Patrizio come Grand Marshal, anche quando per la prima volta erano presenti gruppi LGBT. In quell’occasione Dolan accolse con fair play la novità, dicendo: “La Bibbia ci invita a non giudicare”.
Tra i cardinali americani, è probabilmente il più noto a livello internazionale. Il suo nome già circolò nel conclave del 2013. Oggi resta una candidatura possibile, ma appesantita da una connotazione politica troppo marcata. In un conclave dominato dai nomi scelti da Francesco, Dolan potrebbe non avere i numeri, pur rappresentando una figura riconoscibile, dotata di visione e grande capacità comunicativa. Se il prossimo Papa sarà americano, il suo nome è in prima fila. Ma non sarà facile convincere i cardinali che un conservatore amico di Trump possa incarnare la necessaria unità della Chiesa.
di Luca Arnaù