La prima esortazione apostolica “Dilexi te” segna un ritorno netto alla questione sociale: la povertà come chiave per giudicare l’economia globale e la politica europea. Con Dilexi te, Leone XIV non apre solo un pontificato: mette sul tavolo un’agenda. Il primo documento magisteriale del nuovo Papa è una mappa delle disuguaglianze e un avviso ai governi. La scelta di partire dai poveri, più che pastorale, è politica nel senso pieno: riguarda la struttura stessa delle società occidentali, i modelli di sviluppo e la distribuzione del potere economico.
Il Papa afferma che la Chiesa non può limitarsi alla carità, ma deve contribuire a “rimuovere le cause strutturali della povertà”. Parole che riportano il Vaticano nel cuore del dibattito sociale, dopo anni in cui la parola “riforma” era stata confinata al piano interno. La povertà, per Leone XIV, non è più solo una condizione da assistere: è un indicatore che smaschera le disfunzioni del capitalismo globale. Dietro lo stile mite del documento si intravede una critica radicale: un’economia che produce esclusione non è neutrale, è colpevole.
Il ritorno dell’“opzione preferenziale”
C’è continuità con Francesco, certo, ma anche un cambio di registro. Leone XIV mantiene l’“opzione preferenziale per i poveri” ma la traduce in linguaggio di politica pubblica. Parla di welfare, scuola, salute, cultura: tutti ambiti dove l’ingiustizia si misura con la distribuzione delle opportunità. L’esortazione non chiede solo alle parrocchie di aprire le porte ai bisognosi, ma agli Stati di riscrivere le proprie priorità. Questo slittamento semantico è significativo. Dove Francesco parlava di “Chiesa in uscita”, Leone XIV parla di “alleanza sociale”. Non un gesto spirituale, ma un’architettura. Nel testo si legge la volontà di costruire ponti tra soggetti civili e religiosi, per politiche attive di inclusione. In pratica, una spinta verso un nuovo patto tra Chiesa e istituzioni pubbliche.
Il rischio del simbolismo sterile
Il messaggio però si muove su un crinale difficile. Il Papa chiede cambiamenti strutturali — redistribuzione, equità fiscale, accesso universale ai servizi — ma la Chiesa non ha strumenti diretti per imporli. Servono governi disposti ad ascoltare e società pronte a discutere di giustizia, non solo di beneficenza. Se il documento resterà confinato nei convegni ecclesiastici, rischierà di essere un’altra dichiarazione di principio. Molti osservatori fanno notare che Dilexi te arriva in un momento in cui la povertà in Europa non è più marginale. Guerre, inflazione e precarietà hanno eroso le certezze della classe media. Parlare di poveri, oggi, significa parlare di una condizione diffusa, non di una minoranza. Leone XIV intercetta questo malessere e lo trasforma in chiave pastorale, ma il suo vero obiettivo è politico: riportare il tema sociale nell’agenda pubblica di governi e imprese.
Il banco di prova
Le prossime settimane diranno se le conferenze episcopali e le istituzioni laiche raccoglieranno il guanto di sfida. La Sala Stampa vaticana ha già diffuso una lettera ai vescovi, invitandoli a tradurre il documento in “azioni concrete di prossimità e cooperazione”. Ma la vera prova sarà nei rapporti con l’Europa: il richiamo a “rimuovere le cause della disuguaglianza” suona come un promemoria per Bruxelles, impegnata tra rigore di bilancio e coesione sociale.
Non è un caso che la firma sia datata 4 ottobre, festa di San Francesco, ma la pubblicazione arrivi pochi giorni prima della sessione autunnale del Parlamento europeo. Leone XIV sa che il suo messaggio può pesare anche fuori dalle sacrestie: invita la politica a misurare la propria efficacia non sulla crescita del PIL, ma sulla riduzione della povertà.
Un’agenda per il XXI secolo
In tempi di crisi ambientale e frammentazione sociale, Dilexi te propone una grammatica diversa del potere: quello che nasce dall’ascolto degli ultimi. Non è un documento economico, ma un testo che punta dritto all’etica pubblica. E dice ai governi: se la politica non parte dagli scartati, non serve a nulla. Leone XIV, con il suo stile sobrio e la sua formazione da diplomatico, sceglie di non gridare. Ma la direzione è chiara: la povertà non è un tema di contorno, è la cartina di tornasole della civiltà occidentale. E la Chiesa, ancora una volta, tenta di riportarla al centro del mondo che decide