L’uomo che sussurra ai potenti e va all’Ikea con la sorella: chi è davvero il cardinale Pietro Parolin

Card. Pietro Parolin

Dal Veneto rurale ai vertici della Santa Sede, Pietro Parolin incarna l’immagine del Papa “di governo” che potrebbe ridare ordine alla Curia dopo gli anni di Francesco. Segretario di Stato, uomo di fede e diplomazia, resta un candidato forte: sobrio, riservato, stimato da tutti e con un curriculum da vero “ministro degli Esteri” di Dio. E anche i bookmaker lo danno in testa.

A sei anni celebrava “messe” sul terrazzo di casa con il grembiule della madre. Non per gioco, ma per vocazione precoce. Pietro Parolin, nato nel 1955 a Schiavon, 2.500 anime in provincia di Vicenza, è oggi tra i candidati più forti per succedere a Papa Francesco. Figura chiave della diplomazia vaticana, uomo di dialogo e silenzi calibrati, Parolin ha costruito il suo profilo in oltre trent’anni di carriera nella Santa Sede, scalando i ranghi senza mai sollevare polveroni. Sempre sobrio, sempre preparato, mai sopra le righe. Un cardinale che va all’Ikea con la sorella, che ha vissuto il dolore della perdita del padre a nove anni, e che, pur manovrando la macchina della Segreteria di Stato, ha conservato un tratto umano fuori dal comune.

Sacerdote dal 1980, entra nel corpo diplomatico vaticano nel 1986. Missioni in Nigeria, America Latina, poi il ritorno a Roma dove, negli anni 2000, si occupa dei dossier più spinosi, come Cina e Vietnam. Nel 2009 Benedetto XVI lo nomina nunzio in Venezuela, in piena crisi chavista. Nel 2013, all’alba del pontificato di Francesco, è richiamato a Roma come Segretario di Stato: il secondo uomo più potente della Chiesa cattolica. Da lì, guida con fermezza garbata la diplomazia vaticana, anche quando la riforma della Curia gli sottrae competenze e centralità.

È un uomo che legge ogni dossier, ascolta tutti, incontra ambasciatori e cardinali con lo stesso rispetto. Non cerca le telecamere, ma sa farsi sentire dove conta. Un profilo che oggi appare ideale per riportare equilibrio in una Chiesa che, dopo le onde lunghe del papato bergogliano, sembra avere bisogno di un nocchiero esperto più che di un nuovo visionario. Parolin non divide, unisce. E questo, in un conclave dai pesi incerti, può essere decisivo.

Il suo Veneto lo sente ancora casa: è tornato a Schiavon l’ultima Pasqua e ha ricordato ai compaesani che per lui sarà sempre “don Piero”. I suoi due fratelli vivono entrambi in Italia: Giovanni, magistrato al Tribunale minorile di Venezia; Maria Rosa, insegnante a Verona. Con lei condivide pranzi, visite all’Ikea e perfino il montaggio degli scaffali, come ha raccontato la stessa sorella. Dettagli che diventano metafore: un Papa che sa maneggiare viti e manuali può forse maneggiare anche la complessità della Chiesa universale.

È apprezzato a Roma e rispettato all’estero: i cablogrammi di Wikileaks lo descrivevano come interlocutore affidabile per gli americani. E proprio con il vicepresidente USA J.D. Vance, venuto in visita Oltretevere poco prima della morte di Francesco, Parolin ha tessuto un dialogo che ha saputo ricucire, almeno in parte, gli strappi sul tema dei migranti. Un’arte diplomatica che gli viene riconosciuta anche dai detrattori.

Nel 2023 ha accompagnato, con discrezione e rigore, il bilancio delle riforme bergogliane, cercando di contenere le derive più disordinate. Non ha mai fatto opposizione, ma ha difeso l’istituzione, dando voce a molti vescovi disorientati. È l’uomo che potrebbe far funzionare la macchina senza fermarla. E infatti i bookmaker britannici lo danno come favorito a 2,50: non è folgorante, ma è solido. E in conclave, spesso, vince chi sembra il meno divisivo.

Parolin non è un Papa da titoli a effetto, ma da governo efficace. Ha la preparazione teologica, la rete diplomatica e la sobrietà necessarie. E ha anche una fede che nasce da un lutto: la perdita del padre in un incidente quando aveva solo nove anni. La madre, la signora Ada, è morta a oltre novant’anni nel 2023. “Sulle tue ginocchia abbiamo imparato il Vangelo”, ha detto nel giorno del funerale.

Non urla, ma ascolta. Non divide, ma costruisce. Non divide, ma tiene insieme. Pietro Parolin è l’antitesi del populismo e il volto di una Chiesa che cerca continuità, con una sobrietà che oggi sa quasi di rivoluzione. La sua candidatura è più che plausibile: è concreta. E forse necessaria. Anche perché un Papa che va all’Ikea potrebbe davvero essere la risposta più credibile al mondo confuso che ci aspetta.

di Luca Arnaù