Dalle strade di Willemstad al palcoscenico mondiale: Curaçao fa la storia mentre l’Italia affonda nelle qualificazioni e rischia un nuovo Mondiale da spettatrice

È il tipo di notizia che arriva da lontano, da una di quelle isole che nelle cartine scolastiche sembrano puntini azzurri nel mare. Stavolta quel puntino ha fatto la storia: Curaçao, minuscola, colorata, appena 150 mila abitanti, sarà al Mondiale 2026. Una qualificazione che ribalta ogni logica, che capovolge i rapporti di forza e che segna uno degli exploit più sorprendenti dell’ultimo decennio calcistico. Mentre a migliaia di chilometri di distanza l’Italia è costretta a guardare la propria crisi con un senso di déjà vu: la figuraccia con la Norvegia pesa come una condanna sospesa e il Mondiale rischia di sfilare via di nuovo.

Curaçao ha costruito l’impresa in silenzio, senza fari addosso, con un pareggio che ai più sembrerebbe anonimo: 0-0 contro la Giamaica. In realtà, quel risultato è un manifesto di resistenza. Dick Advocaat, 78 anni, un curriculum lungo mezzo secolo, ha portato un gruppo di ragazzi cresciuti tra spiagge, venti caraibici e campionati minori davanti al più grande palcoscenico del calcio. Al fischio finale, il boato dell’isola è stato la fotografia di un miracolo sportivo: lacrime, bandiere, gente assiepata davanti agli schermi, la sensazione netta di aver riscritto la geografia del pallone.

L’eco si è allargato subito, inevitabilmente, fino all’Italia. Dove tutto sembra più complicato, dove ogni partita diventa un esame di maturità mai superato. La sconfitta con la Norvegia, pesante e per certi versi inspiegabile, ha lasciato scorie che non si cancellano in fretta. I conteggi per accedere ai playoff sono possibili, ma richiedono un incastro perfetto che non concede errori. E il confronto simbolico è devastante: una nazionale nata da una manciata di chilometri quadrati vola ai Mondiali, mentre una potenza calcistica da 60 milioni di abitanti rischia di restare a casa.

Nel frattempo, l’Europa ha vissuto serate di calcio che entrano subito nella memoria collettiva. In Scozia, l’Hampden Park è stato teatro di una delle partite più incredibili della storia recente. Contro la Danimarca la tensione era quasi fisica: dopo 28 anni di attesa, la Nazionale scozzese cercava la porta d’ingresso al grande calcio. La rovesciata di McTominay ha aperto una sceneggiatura perfetta. La Danimarca ha risposto, la Scozia è tornata avanti, Dorgu ha pareggiato. Una trama già intensa che però non era ancora arrivata alla sua parte decisiva.

Il finale è stato oltre ogni previsione. Prima Tierney ha riportato avanti i padroni di casa nel recupero. Poi, al 99’, McLean ha visto il portiere danese fuori posizione e ha calciato da metà campo. Un gesto folle, quasi presuntuoso, ma perfetto. Gol. Stadio in delirio. La Scozia al Mondiale. La Danimarca ai playoff. Una di quelle notti che valgono una generazione.

Sul resto del continente, le big hanno recitato il copione previsto. Il Belgio ha travolto il Liechtenstein con un 7-0 che non lascia spazio a interpretazioni, illuminato dalle giocate di De Ketelaere e Saelemaekers. La Spagna, pur pareggiando con la Turchia di Montella, ha chiuso senza ansie. La Svizzera ha archiviato il Kosovo con goletti e ordine, come spesso accade nelle sue qualificazioni. Diverso il clima dell’Austria, dove la partita è stata una lunga apnea: solo il pari di Gregoritsch all’ultimo tratto ha cancellato il sogno della Bosnia e consegnato il pass ai viennesi.

Poi ci sono le storie laterali, quelle che rendono il Mondiale un romanzo corale. Panama festeggia dopo il 3-0 su El Salvador. Haiti, che nel 1974 era una meteora, torna a giocarsi la competizione più amata del pianeta. Giamaica e Suriname inseguono il sogno intercontinentale. Una mappa calcistica che cambia rapidamente, che si muove in direzioni impensabili fino a pochi anni fa.

E in questo scenario globale così dinamico, l’Italia sembra invece bloccata in un loop. Il pallone scorre, il gioco non decolla, la squadra si smarrisce appena il ritmo sale. La nostra Nazionale appare spesso a metà, sospesa tra una tradizione gloriosa e un presente in cui tutto è fragile: difesa incerta, idee intermittenti, un’identità ancora in costruzione. Il rischio è enorme: restare per la terza volta fuori dal Mondiale sarebbe un colpo durissimo, sportivo e culturale.

La favola di Curaçao, guardata da qui, diventa uno specchio. Ci mostra quello che il calcio riesce a fare quando un progetto funziona, quando un allenatore esperto trova la chiave, quando un gruppo senza pressione riesce a trasformare il sogno in realtà. E ci ricorda il contrario: che avere storia, numeri, pubblico e tradizione non basta più. Serve costruzione, continuità, fiducia. Serve una strada.

Mentre l’Italia continua a calcolare, sperare, aspettare, Curaçao prepara il viaggio della vita. È l’immagine che fotografa alla perfezione il calcio del 2026: le piccole che diventano grandi e le grandi che devono reinventarsi per non cadere. Una Coppa del Mondo che si presenta già come un salto nel futuro. E noi, di nuovo, rischiamo di guardarne l’inizio dal divano.