«La Juventus, la nostra storia, i nostri valori non sono in vendita». John Elkann sceglie parole nette, solenni, quasi identitarie, per provare a spegnere le voci su una possibile cessione del club bianconero. Lo fa sabato 13 novembre, con un video pensato per parlare direttamente a tifosi e investitori, nel tentativo di chiudere ogni spiraglio: niente Arabia Saudita, niente fondi sovrani, niente Tether. Una dichiarazione che vorrebbe essere definitiva.
Il problema è che il mercato, il lunedì successivo, racconta una storia diversa. Il titolo Juventus Football Club chiude la seduta a Piazza Affari con un rialzo record del 18,5%. Un balzo che non assomiglia affatto a una reazione di sollievo per la stabilità proprietaria. Al contrario: sembra il segnale classico di chi scommette su un cambiamento imminente, o perlomeno possibile.
La miccia è l’offerta di Tether, il colosso delle stablecoin fondato dall’italiano Giancarlo Devasini, già azionista della Juventus con l’11,5%. Venerdì, a mercati chiusi, Tether ufficializza di aver presentato al consiglio di amministrazione di Exor un’offerta vincolante non concordata per rilevare l’intera quota bianconera in mano alla holding degli Elkann, che controlla circa il 65% del club. Un’offerta respinta con decisione, almeno sul piano comunicativo.
Elkann sceglie una narrazione diretta, quasi emozionale, molto più vicina al linguaggio dei social che a quello delle operazioni finanziarie. Un messaggio rassicurante, pulito, privo però di dettagli concreti sul futuro industriale della Juventus. Ed è proprio questa assenza che alimenta i dubbi. Perché chi conosce i mercati sa che le smentite più secche non sempre coincidono con le decisioni più definitive.
A dirlo senza troppi giri di parole è Giovanni Cobolli Gigli, ex presidente bianconero, che rompe il coro delle rassicurazioni. «Ho ascoltato le parole di John Elkann. Se potessi fare un po’ di ironia, vorrei sapere se queste parole sono state dette col cuore o col gobbo», osserva. Poi affonda: «Si possono avere dei dubbi su quanto sia secco questo no. Era secco anche quello per Gedi e poi le cose sono andate diversamente».
Il riferimento è pesante. Per mesi Exor aveva smentito qualsiasi ipotesi di vendita del gruppo Gedi, parlando di voci infondate. Salvo poi ammettere, pochi giorni fa, che la trattativa per la cessione all’imprenditore greco Theo Kyriakou era in realtà avviata da tempo. Un precedente che oggi pesa come un macigno sulla credibilità delle parole pronunciate sulla Juventus.
Ed è qui che il rialzo in Borsa assume un significato preciso. Gli investitori non stanno premiando la continuità, ma la possibilità di una discontinuità futura. La Juventus torna appetibile perché viene percepita come un asset che potrebbe cambiare mano. Non subito, forse. Ma abbastanza da giustificare una scommessa aggressiva.
C’è poi il contesto. La Juventus è una società quotata con una storia recente segnata da inchieste, sanzioni, ricapitalizzazioni e bilanci sotto pressione. Un brand potentissimo, certo, ma anche costoso da sostenere. In un calcio sempre più globale, la proprietà familiare è diventata un’eccezione, non la regola. L’interesse di soggetti come Tether o di capitali mediorientali non è un’anomalia: è la conseguenza naturale di un sistema che premia chi ha liquidità e visione finanziaria.
Il punto, allora, non è se Elkann voglia vendere oggi. Il punto è se Exor, domani, potrà permettersi di non farlo. Perché la Juventus, per quanto simbolica, resta una partecipazione industriale. E come tale può essere rivalutata, ridimensionata o ceduta se il quadro strategico lo richiede.
Il precedente Gedi insegna che le smentite possono convivere con trattative silenziose. E che il “non è in vendita” spesso significa soltanto “non ancora”. La Borsa questo lo sa, e reagisce di conseguenza. Il +18,5% non è un atto di fede, ma un calcolo freddo.
Così, mentre John Elkann prova a blindare l’identità bianconera con parole solenni, Piazza Affari manda un messaggio chiaro: la Juventus è di nuovo al centro del gioco perché il mercato non crede che la partita sia finita. Anzi, ha appena iniziato a guardarla davvero.







