Gli italiani nel pallone: il ritorno della fede calcistica tra emozione, identità e Var

Gli italiani sono tornati nel pallone. Dopo anni in cui la pandemia aveva messo in pausa emozioni, abitudini e passioni collettive, il tifo è tornato a scorrere potente nel sangue del Paese. La ripartenza è stata lenta ma costante, e oggi oltre la metà degli italiani si definisce tifosa di calcio. Non si tratta solo di una statistica sportiva: è il segnale di un bisogno di identità, di un ritorno al rito collettivo che da oltre un secolo accompagna la nostra vita.

Secondo una ricerca condotta da Demos nel 2024, “la squadra o lo sportivo per cui tifo” è tra le passioni più sentite dagli italiani, superando temi un tempo centrali come la politica o la fede religiosa. In altre parole, il calcio è diventato una nuova forma di appartenenza, capace di sostituire le vecchie certezze ideologiche e sociali. Il tifo, come la fede, unisce e divide, dà senso al territorio e identità alla comunità.

La nuova indagine conferma la tendenza: più di un italiano su due si riconosce in una squadra. È un numero in crescita, tornato ai livelli pre-pandemici dopo la caduta verticale registrata durante il Covid, quando gli stadi vuoti avevano spento gran parte della magia. Oggi quella magia è tornata. Le partite non sono più solo uno spettacolo televisivo: sono un momento di evasione, una forma di fedeltà collettiva che consente di distrarsi dai timori di un’epoca segnata da guerre, crisi economiche e incertezze globali.

Naturalmente, come ogni fede, anche quella calcistica ha i suoi simboli. La maglia, i colori, il nome di una città. La squadra per cui si tifa diventa un segno di riconoscimento e un frammento d’identità personale. Ed è interessante notare come, anche nel 2025, la geografia del tifo italiano resti saldamente ancorata alla tradizione

Davanti a tutti c’è ancora la Juventus, anche se il dominio bianconero si è leggermente eroso: dal 32% dei tifosi si è scesi al 28%. Restano milioni di appassionati, distribuiti in modo trasversale su tutto il territorio nazionale, a dimostrazione di quanto il club torinese sia ormai un fenomeno globale più che locale. Alle sue spalle cresce l’Inter, sostenuta da un entusiasmo alimentato dai successi recenti. Bene anche Napoli e Roma, che consolidano le proprie basi popolari, mentre cala leggermente il Milan, la cui parabola riflette l’altalena dei risultati.

Il tifo, d’altronde, vive di risultati e di emozioni. È radicato nel tempo, ma cambia con le vittorie e con le sconfitte. La squadra che trionfa diventa simbolo di orgoglio collettivo; quella che perde, invece, trascina con sé l’umore di intere città. In fondo, vincere o perdere non riguarda solo undici giocatori: è una questione di rappresentazione collettiva, di riscatto e di identità.

Eppure, l’Italia del pallone non è fatta soltanto dei grandi club. Accanto ai nomi storici, cresce un tifo diffuso e appassionato per le squadre “minori”, quelle di provincia o di quartiere che rappresentano piccole comunità, paesi, perfino contrade. Un mosaico che racconta la vera anima del calcio italiano: popolare, radicato, romantico. Perché tifare non è soltanto scegliere una squadra vincente, ma difendere una storia, una memoria familiare o cittadina, tramandata di generazione in generazione.

C’è poi un altro elemento che oggi divide e appassiona i tifosi: il Var. Il sistema tecnologico introdotto per correggere gli errori arbitrali continua a generare discussioni infuocate. Secondo Demos, poco più della metà degli italiani ritiene che abbia migliorato il calcio; una maggioranza risicata, più convinta tra i sostenitori dell’Inter, meno entusiasta tra quelli della Juventus o del Napoli. Il Var ha portato più giustizia, certo, ma ha tolto qualcosa all’immediatezza del gioco, a quel misto di rabbia e gioia che nasce dall’errore umano.

E così il calcio resta sospeso tra razionalità e passione, tra la precisione delle immagini e la cecità dell’amore. Perché il tifo non è fatto di numeri, ma di emozioni. È fede cieca, come quella che spinge milioni di persone a esultare o disperarsi per un pallone che rotola.
In un’epoca in cui le appartenenze sembravano dissolversi, il tifo è tornato a essere un collante sociale. Forse l’ultimo. È la nostra piccola patria sentimentale, dove si combatte senza armi ma con lo stesso trasporto di una guerra. E ogni domenica, allo stadio o davanti alla tv, gli italiani si ritrovano a pregare un dio con la maglia a righe, gialla, azzurra o rossa. Un dio che, anche quando perde, resta il più amato di tutti.