Il miracolo del Mjällby: la squadra di un villaggio di pescatori che batte i giganti e vince il campionato svedese

Mjällby AIF

Affacciato sul Baltico, il piccolo villaggio di Hällevik, millecinquecento abitanti e un profumo di pesce affumicato che si mescola alla resina dei pini, è diventato il centro del mondo. Qui, dove lo Strandvallen — uno stadio da appena seimila posti — è da sempre più un punto d’incontro che un’arena, il Mjällby AIF ha scritto una delle favole sportive più incredibili d’Europa: vincere il campionato svedese.

Il club, fondato nel 1939, ha trascorso gran parte della sua storia tra la seconda e la terza divisione, con brevi apparizioni in Allsvenskan. Dieci anni fa era a un passo dal fallimento. «Eravamo sull’orlo del baratro», ricorda Magnus Emeus, presidente dal 2015. «Da allora abbiamo scelto una regola: mai spendere più del 70% delle entrate previste. Nessun rischio, nessuna follia».

Da quella filosofia di prudenza finanziaria è nata una vera e propria rinascita. Il Mjällby ha costruito il proprio successo su un modello ispirato al Kaizen giapponese, il principio del miglioramento continuo: piccoli passi, pochi sprechi, obiettivi chiari. «Ho portato nel calcio l’esperienza maturata come dirigente industriale — racconta Emeus —. Abbiamo costruito un sistema che ci obbliga a fare sempre meglio della stagione precedente».

La risalita è stata lenta ma inesorabile: promozione nel 2020, salvezza, poi metà classifica, finale di Coppa nel 2023. E infine, quest’anno, il trionfo: titolo nazionale con tre giornate d’anticipo e undici punti di vantaggio sull’Hammarby di Zlatan Ibrahimović, ventuno sul Malmö, club che dispongono di risorse dieci volte superiori.

«È un sogno che appartiene a tutta la nostra comunità», dice il presidente con voce spezzata. «Abbiamo dimostrato che Davide può davvero battere Golia. Ogni anno costruiamo una squadra e uno staff competitivi, anche se perdiamo i nostri giocatori migliori. È la prova che il metodo, a volte, vale più del denaro».

Nel piccolo spogliatoio giallonero, il segreto è uno solo: correre più degli altri. «Ci siamo concentrati su tutto ciò che non costa: il lavoro, la preparazione, la disciplina, lo spirito di gruppo. In questi aspetti possiamo essere migliori persino di Juventus e Real Madrid», scherza Emeus, che non nasconde l’orgoglio all’idea che l’anno prossimo il Mjällby possa esordire in Champions League. «Non sarebbe male andare al Bernabéu… anche solo per guardare».

Il successo della squadra è anche il trionfo della competenza. Tra i protagonisti più influenti c’è Karl Marius Aksum, ideologo norvegese, vice allenatore e docente di psicologia applicata allo sport. È lui ad aver introdotto un sistema di allenamento fondato sul possesso palla e sulla gestione mentale della partita. «Quando sono arrivato nel 2024 — racconta — la percentuale di possesso era del 40%. Oggi abbiamo superato il 50, e il prossimo obiettivo è il 65». Una rivoluzione culturale per una squadra che, fino a poco tempo fa, si affidava solo al contropiede.

Tra i simboli del miracolo c’è anche Noel Törnqvist, portiere classe 2002 di proprietà del Como, che a fine stagione volerà in Italia per mettersi agli ordini di Cesc Fàbregas. «Mi sento parte di qualcosa di unico», dice. «Ho imparato più in un anno qui che in tutta la mia carriera. È vero, sono stato un fattore chiave del successo, ma la forza del Mjällby è collettiva. Nessuno pensa solo a se stesso».

Törnqvist, che difende anche la porta della nazionale svedese, è consapevole che il prossimo capitolo lo vedrà protagonista altrove: «Sono pronto per affrontare una sfida più grande, ma porterò con me lo spirito di questo villaggio. È la dimostrazione che anche un luogo così piccolo può insegnare al mondo cosa significa credere».

Intanto a Hällevik si festeggia. Le barche nel porto hanno issato bandiere giallonere, i pescatori hanno portato casse di aringhe allo stadio, e la piazza centrale si è trasformata in una festa collettiva. Gli anziani raccontano di quando, da bambini, guardavano le partite seduti sul prato, e i più giovani filmano ogni istante con il telefono.

«È fantastico, un ricordo che resterà per sempre», confessa il presidente Emeus, mentre stringe la coppa con le mani callose da ex operaio. «Abbiamo portato la classe lavoratrice svedese in paradiso. Ma questo è solo l’inizio. Il nostro obiettivo non è stato vincere: è continuare a migliorare».

Sullo sfondo, il mare del Baltico riflette i colori del tramonto. Il piccolo Mjällby, con la sua gente e il suo stadio di legno, ha appena dimostrato che nel calcio, come nella vita, i miracoli non si comprano. Si costruiscono, giorno dopo giorno, con la stessa pazienza di chi getta le reti all’alba e torna al porto la sera, sapendo che prima o poi, il mare — e la fortuna — restituiscono tutto.