Juventus, il gigante addormentato tra conti in rosso e offerte al ribasso: quanto vale davvero il club di John Elkann oggi

Juventus

Un gigante addormentato, o una belva ferita. L’immagine per raccontare la Juventus la si trova appena si varcano le porte della Continassa e dell’Allianz Stadium, dove convivono le tracce di ciò che il club è stato e le potenzialità di ciò che potrebbe ancora essere. Basta però guardare una delle ultime partite, non solo le più recenti, per capire quanto sia profonda oggi la distanza tra la Juve reale e l’élite europea che aveva conquistato e mantenuto per un decennio, con nove scudetti di fila e due finali di Champions, prima di crollare sotto il peso di spese folli, investimenti sbagliati, alchimie contabili ed emergenza pandemica.

Quando Andrea Agnelli diventò presidente, nel maggio 2010, il club bianconero valeva in Borsa 162 milioni di euro. Nel 2019, grazie anche all’effetto Cristiano Ronaldo, la capitalizzazione era arrivata a sfiorare il miliardo e mezzo. Oggi, a Piazza Affari, la Juventus si ferma a 915 milioni: un dato che racconta un ridimensionamento importante, ma non restituisce fino in fondo la reale fotografia del club, compressa da anni di continue ricapitalizzazioni e dall’emotività dei piccoli azionisti.

Per capire quanto valga la Juve bisogna affidarsi a chi, per mestiere, misura i numeri del calcio. Football Benchmark, società di consulenza specializzata nell’industria calcistica, nell’ultimo report pubblicato a maggio ha stimato per i bianconeri un enterprise value di 1.651 milioni di euro, in calo del 3% rispetto all’anno precedente, anche per l’impatto della stagione in profondo rosso dovuta all’esclusione dalle coppe. Forbes, dal canto suo, fissa la valutazione del club a 1,9 miliardi. Incrociando le due letture, la forbice più realistica si colloca tra 1,8 e 2 miliardi, con l’asticella che tende verso i 2 miliardi se la Juventus riesce a mantenersi stabilmente in Champions League, con tutte le risorse economiche che ne derivano.

In questo scenario pesano come un macigno, in positivo, le infrastrutture: lo stadio e i centri sportivi della Continassa e di Vinovo, tutti di proprietà, vengono stimati sul mercato in oltre 450 milioni di euro. È uno dei pochi asset tipici dei grandi club europei che la Juve ha saputo costruire per tempo, prima di perdersi tra errori tecnici, scelte dirigenziali controverse e un modello di gestione che negli ultimi anni è esploso nei conti.

Qui il gigante addormentato mostra tutte le sue fragilità. Tra la stagione 2014-2015 e quella 2024-2025, il club ha accumulato 999 milioni di euro di perdite: otto bilanci consecutivi in rosso che hanno imposto ai proprietari una serie di interventi drastici. Dal 2019 a oggi sono stati necessari quattro aumenti di capitale, per un totale di 900 milioni di euro immessi dai soci per tenere in piedi la struttura. L’ultimo, da 98 milioni, è stato completato poche settimane fa: Exor e Tether hanno sottoscritto le quote di loro pertinenza, pari rispettivamente al 65,4% e all’11,5%, per un totale di 77 milioni, mentre il resto è arrivato da investitori istituzionali, con l’ingresso di quindici nuovi soggetti tra fondi italiani e internazionali.

Il comunicato diffuso da Tether, gigante delle criptovalute, ha però messo sul tavolo numeri diversi. Nel documento, la società attribuisce alla Juventus un equity value di 1,1 miliardi di euro. Considerato che l’indebitamento finanziario del club si aggira sui 300 milioni, l’enterprise value risultante sarebbe intorno a 1,4 miliardi: sensibilmente inferiore alle stime elaborate dagli analisti di settore e distante anche dalle valutazioni delle transazioni più recenti che hanno riguardato club di fascia paragonabile in altri campionati europei. Un divario che alimenta il dibattito su come, e quanto, il mercato stia scontando il rischio Juventus.

Il paradosso bianconero sta tutto qui: strutture ai massimi livelli, una storia recente fatta di dominio in Serie A e di presenze fisse nelle fasi finali delle coppe europee, ma una scia di perdite che ha costretto gli azionisti a inseguire la sostenibilità a colpi di aumenti di capitale. Otto bilanci consecutivi in rosso non sono solo una serie di numeri negativi in un prospetto contabile: sono la prova di un modello che ha consumato più di quanto riuscisse a generare, spinto dall’urgenza di restare agganciato all’élite europea proprio mentre lo scenario post pandemia e il rallentamento del mercato dei diritti tv rendevano tutto più fragile.

È in questa cornice che va letta anche la forbice tra le valutazioni degli analisti e quella indicata da Tether. Da una parte Football Benchmark e Forbes che vedono nella Juventus un valore potenziale vicino ai 2 miliardi, legato alla capacità del club di tornare stabilmente in Champions e di sfruttare il proprio stadio come piattaforma di ricavi. Dall’altra un enterprise value fermo a 1,4 miliardi, calcolato partendo da un equity value di 1,1 miliardi e sommando circa 300 milioni di debito, che fotografa una società ancora percepita come ad alto rischio e costretta a dimostrare sul campo, e nei conti, di essersi davvero messa alle spalle la stagione degli eccessi.

Se i numeri restano delicati, qualche segnale di inversione di rotta è comunque arrivato. La scorsa stagione il deficit è stato di 58 milioni di euro, contro i 199 dell’esercizio precedente. Nell’ultimo quinquennio i costi della rosa sono stati tagliati di circa 150 milioni tra stipendi e ammortamenti, una cura dimagrante che ha ridotto il peso della struttura pur senza cancellare i problemi accumulati nella stagione dei grandi ingaggi e dei cartellini pagati a cifre fuori scala. Il nuovo amministratore delegato Damien Comolli, nel giorno del suo insediamento, ha spiegato che la Juventus non ha più la necessità di intervenire con ulteriori tagli, fatta eccezione per l’ingaggio fuori portata di Dusan Vlahovic, ma piuttosto di lavorare sull’aumento dei ricavi. Il business plan aggiornato fissa un obiettivo chiaro: arrivare al break-even e alla generazione di cassa entro la stagione 2026-2027.

In questa prospettiva, come sempre nel calcio, tutto passa dal campo. Luciano Spalletti ha il compito di valorizzare al massimo la rosa a disposizione e di centrare l’obiettivo minimo indicato dalla società: chiudere il campionato tra le prime quattro e continuare ad accedere in modo stabile ai ricchi premi della Champions League. Solo così il gigante addormentato potrà tornare a somigliare al club che riempiva gli stadi d’Europa e faceva crescere il proprio valore anno dopo anno, trasformando infrastrutture e storia in un motore economico all’altezza del suo nome.