San Siro, silenzioso e spoglio come nelle ultime partite senza cori, è diventato più un problema che un patrimonio. Lo stadio che ha ospitato finali, leggende e generazioni di tifosi oggi è al centro di una trattativa che divide la politica, incendia i partiti e tiene col fiato sospeso le due società milanesi. La posta in gioco è altissima: la vendita del Meazza a Inter e Milan per 197 milioni di euro, prima rata da 73 subito e il resto diluito in più anni.
Il Consiglio comunale si riunisce per discutere la delibera. L’obiettivo del sindaco Giuseppe Sala e della giunta è blindare l’accordo con i club, sostenuti dai rispettivi fondi internazionali: RedBird per il Milan e Oaktree per l’Inter. Per le squadre la costruzione di un nuovo stadio è la priorità assoluta. «Se non si potrà, andremo altrove», ha già ammonito Beppe Marotta, presidente-azionista dell’Inter. Un messaggio che pesa come un avvertimento: o il Comune decide, o i club cercheranno soluzioni fuori città.
L’opposizione di centrodestra ha già annunciato ostruzionismo. Forza Italia e Lega contestano la procedura, parlano di cavilli giuridici e promettono di rallentare la discussione. Ma il rischio più concreto viene dall’interno della maggioranza. Almeno sette consiglieri di centrosinistra, tra Verdi e parte del Pd, si dichiarano contrari al progetto firmato dall’archistar Norman Foster e dallo studio Manica: un impianto da 71.500 posti, inserito in un piano di riqualificazione di 281mila metri quadrati, per una spesa stimata in 1,29 miliardi.
Il punto dolente è l’ambiente. «Insufficienti garanzie», ripetono i dissidenti, intenzionati a opporsi a un progetto che prevede l’abbattimento quasi totale del Meazza. A salvarsi sarebbe solo la torre sud-est, destinata a diventare contenitore di negozi, uffici e un museo. Per i contrari è troppo poco: si cancella un pezzo di storia e si consuma territorio senza un piano verde adeguato.
Eppure, l’attuale Meazza è già considerato inadeguato dagli organismi internazionali. La Uefa lo ha bocciato due volte: prima togliendo a Milano la finale di Champions del 2027, poi escludendo l’impianto dagli Europei del 2032. Lo stadio non rispetta i parametri richiesti: spazi, servizi, sicurezza. Anche per questo, Inter e Milan vogliono inaugurare il nuovo impianto nel 2031, in tempo per aprire un ciclo moderno e competitivo.
Ma il tempo stringe davvero. Il 10 novembre scatterà un vincolo della Soprintendenza che renderà impossibile demolire il Meazza. È la data che spinge Sala e i club a chiudere subito l’operazione. Se il Consiglio non approverà, le squadre porteranno avanti il piano alternativo: spostarsi nei comuni limitrofi, San Donato in testa, con conseguenze pesanti per Milano in termini di indotto e prestigio.
Sul fondo resta l’immagine contraddittoria di uno stadio che a febbraio ospiterà la cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali, ma che già oggi non è più ritenuto all’altezza del calcio europeo. Simbolo glorioso e macigno urbanistico, San Siro divide e brucia tempo prezioso.
La partita politica si gioca tutta in queste ore. La maggioranza reggerà o si spaccherà su un progetto che vale miliardi e ridefinisce la geografia sportiva della città? L’opposizione userà ogni strumento per bloccare l’iter, nella speranza di indebolire la giunta. Ma soprattutto, Inter e Milan hanno già tracciato la linea: senza risposte immediate, il futuro non sarà più San Siro.