Sinner troppo italiano per gli Schützen: “Hai ferito la nostra identità. Rifletti prima di parlare dell’Austria”

Qualunque cosa dica o faccia, Jannik Sinner riesce a dividere. E non per una palla finita fuori o per un torneo saltato, ma per una frase semplice, quasi ingenua, che in qualsiasi altro Paese sarebbe passata inosservata: «Sono orgoglioso di essere italiano, felice di essere nato in Italia e non in Austria o altrove». Poche parole, pronunciate con il sorriso, che nel giro di ventiquattr’ore hanno acceso una polemica inattesa.

A scatenarla sono stati gli Schützen, le milizie storiche d’ispirazione tirolese che in Alto Adige custodiscono — e talvolta difendono con ardore — un’identità autonoma e mitteleuropea. Il loro comandante, Christoph Schmid, ha scritto al campione del mondo una lunga lettera aperta: un testo dal tono cortese ma intriso di rimprovero, dove l’orgoglio italiano del tennista viene letto come un affronto politico.

«Era inevitabile che accadesse prima o poi, caro Jannik», esordisce Schmid nel messaggio indirizzato al giocatore con un formale “Lieber Jannik”. «Hai detto di essere felice di essere italiano e di non essere nato in Austria. In una società libera ognuno può definire la propria identità, ma devi sapere che affermazioni come questa, quando vengono da una figura conosciuta, hanno ripercussioni che vanno ben oltre lo sport».

Il riferimento è esplicito: «Vengono accolte con soddisfazione dai nazionalisti italiani ma con preoccupazione qui da noi, perché toccano questioni di fondamentale importanza: la nostra lingua, la nostra storia, la nostra identità». Schmid ricorda a Sinner che la comunità sudtirolese, pur vivendo da decenni in equilibrio con Roma, conserva una memoria complessa fatta di frontiere spostate, autonomie conquistate e ferite mai del tutto rimarginate.

Il passaggio più spigoloso arriva poco dopo, quando il comandante richiama il “debito” verso Vienna: «L’Austria che avete ‘rifiutato’ ha difeso instancabilmente i diritti del popolo altoatesino durante decenni difficili — scrive — politicamente, diplomaticamente e culturalmente. Senza questo impegno, la nostra attuale autonomia, la nostra prosperità e forse persino il vostro dialetto pusterese difficilmente sarebbero sopravvissuti».

Un accenno, quello al dialetto, che non è casuale. Nelle valli dove Sinner è cresciuto, tra Sesto e San Candido, la lingua di tutti i giorni è il tedesco locale, e l’italiano è arrivato tardi, attraverso la scuola e lo sport. Per gli Schützen, il tennisman incarna un simbolo di integrazione “a senso unico”: un altoatesino che parla italiano e si sente italiano, ma che — nel loro sguardo — dimentica le radici di quella terra di confine.

La lettera si chiude con un appello dai toni più concilianti: «Quando in futuro vi verrà chiesto del vostro sentimento nazionale, vi preghiamo di considerare le implicazioni delle vostre parole. Parlate pure della vostra appartenenza all’Italia, ma fatelo con rispetto per chi si riconosce come altoatesino, ladino o membro di un altro gruppo minoritario. La Costituzione italiana tutela anche l’identità culturale delle minoranze, un principio che tutti dovremmo sostenere».

Nessuna replica, per ora, da parte del tennista. Sinner — come sempre — tace. Abituato a parlare con la racchetta, non con i comunicati, il campione numero uno del mondo è consapevole che qualsiasi parola potrebbe innescare un nuovo caso politico. Ma in Alto Adige, il dibattito è già rovente.

C’è chi difende Sinner come «figlio autentico dell’Italia di oggi, europeo e moderno», e chi — tra gli ambienti autonomisti più radicali — lo accusa di aver “dimenticato” le proprie origini. A Bolzano, i partiti di centrodestra hanno liquidato la polemica come «una provocazione anacronistica». Mentre sui social la lettera di Schmid è diventata virale, tra chi ironizza sul patriottismo selettivo degli Schützen e chi invece invita al rispetto di tutte le sensibilità.

Dietro le parole del comandante, in realtà, si intravede il vecchio nervo scoperto della doppia identità altoatesina: l’orgoglio di appartenere a una terra che parla tre lingue, ma che fatica ancora a sentirsi una sola comunità. Ogni volta che un simbolo locale si afferma a livello nazionale, la tensione si ripropone. Era accaduto con Alex Schwazer, poi con Dominik Paris. Ora tocca a Jannik Sinner, che di quella generazione rappresenta la sintesi più riuscita: disciplina nordica, sorriso mediterraneo, talento globale.

Paradossalmente, è proprio il successo del tennista a mettere in crisi gli equilibri identitari. «Sinner non è un traditore della sua terra — scrive oggi Dolomiten, il principale quotidiano tedesco dell’Alto Adige —, ma un esempio di integrazione che funziona. Dovremmo esserne orgogliosi, non spaventati».

Il caso, comunque, resta aperto. E ancora una volta Jannik Sinner si ritrova, suo malgrado, al centro di una tempesta che non riguarda né il suo rovescio né la sua condizione fisica, ma il significato di una frase semplice, detta con sincerità: “Sono felice di essere italiano.”

Una frase che in molti hanno letto come una bandiera. Ma che per lui, forse, era soltanto un modo per dire grazie al Paese che lo ha fatto crescere, senza chiedergli da dove venisse o in che lingua sognasse da bambino.