L’ammiraglio Paolo Treu: “Prepararsi alla guerra? No. Prepararsi alla pace”

Paolo Treu

Paolo Treu, Accademia Navale di Livorno, è stato Comandante in Capo della Squadra Navale, vertice del braccio operativo della Marina Militare. Mentre il mondo sembra precipitare verso una nuova, tragica epoca di conflitti sempre più aspri, l’ammiraglio Paolo Treu interviene lanciando un segnale in controtendenza: “Prepararsi alla guerra? No. Prepararsi alla pace”.

Il dibattito internazionale parla sempre più spesso un linguaggio che non sembra aspirare alla pace. Si moltiplicano gli appelli a riarmarsi, a mettere in sicurezza i confini, a “prepararsi alla guerra”, come ripetuto con forza dalla premier estone Kaja Kallas. È un clima che inquieta e che rischia di trasformare la paura in dottrina politica. Per questo risuona la voce di chi la guerra, la strategia e la pace le ha conosciute sul mare e nella storia: l’ammiraglio Paolo Treu, figura autorevole della Marina Militare.

La conversazione si apre con una sua riflessione netta, quasi una presa di distanza dal mantra che circola nei vertici europei. Treu cita la frase simbolica della Kallas – “Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra” – e la smonta con la precisione di chi conosce la materia non per ideologia, ma per esperienza diretta.

«Trasformare un’esperienza nazionale in una dottrina strategica europea è un errore, anzi, un orrore strategico», osserva. L’Estonia ha una storia traumatica: occupazione sovietica, deportazioni, annullamento dell’identità nazionale. Per chi proviene da quel passato, la deterrenza è sopravvivenza. «Ma l’Europa non può adottare come regola universale le paure, seppur comprensibili, di un singolo Paese».

Il discorso si sposta su un punto centrale della sua analisi: la memoria della Guerra Fredda. Treu vi entrò da giovane ufficiale e non la dimentica. «Quella che chiamavamo pace non era tale. Era un equilibrio del terrore: una tregua armata fondata sulla consapevolezza che una guerra totale avrebbe distrutto tutto. Non c’erano vincitori possibili, solo uno sconfitto: l’Umanità».

Questo ricordo concreto, non scolastico, lo rende diffidente verso un ritorno alla logica del “più armi = più pace”, un’equazione che molti leader europei sembrano dare per scontata. Treu la definisce una scorciatoia concettuale: può congelare un conflitto e impedirne l’esplosione, ma non può generare pace. Se così fosse stato, ironizza, gli anni ’70 e ’80 – le stagioni della massima proliferazione nucleare – avrebbero dovuto essere anni di serenità mondiale. Non lo furono.

A questo punto l’ammiraglio torna al significato delle parole. «La Treccani lo spiega bene: pace, in senso minimo, è assenza di guerra. Ma la pace vera è armonia, concordia, giustizia».

Ed è qui che emerge la parte più delicata della sua riflessione: l’Europa, oggi, sembra aver dimenticato questa distinzione. Rischia di scambiare il silenzio delle armi per pace; la deterrenza per una soluzione; la paura per un fondamento etico.

Treu non indulge in pacifismi ingenui né in utopie disarmate. La sua è una visione pragmatica, maturata in anni di comando. «La pace non nasce dalla minaccia reciproca. Non nasce dalle armi. Non nasce dalla paura. Nasce dalla costruzione di ponti, dalla fiducia, dalla diplomazia reale, non ideologica. Nasce dal prevenire i conflitti, non dal gestirli quando è troppo tardi».

Ascoltandolo si ha la sensazione di una voce fuori dal coro, non perché ingenua, ma perché profondamente radicata nella storia. L’Europa, ricorda Treu, è nata dalle macerie della guerra e dal giuramento “mai più”. È lo scrigno di valori maturati attraverso secoli di sofferenza. E proprio per questo dovrebbe ricordare che la pace è un bene troppo alto per fondarsi sul più basso dei mali: la guerra.

Alla fine della conversazione, l’ammiraglio lascia un’immagine che rimane impressa: «Il bene genera il bene. Il male non può generare il bene». Una frase semplice, quasi disarmante, ma potentissima. È un invito non alla resa, ma alla responsabilità. Non alla debolezza, ma alla costruzione.

In un tempo in cui i venti di guerra tornano a soffiare sull’Europa, le parole di Treu non suonano come rassegnazione: sono un richiamo alla lucidità. Non basta prepararsi alla guerra per evitarla. Forse – come afferma l’ammiraglio – dovremmo tornare a un compito più difficile, più impegnativo e infinitamente più necessario: prepararci alla pace.

di Battista Bruno