Quando il silenzio fa più male delle ferite: il coraggio di denunciare oltre il 25 novembre

E’ di nuovo 25 novembre: Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il Paese si prepara ancora una volta a tingersi di rosso. Rosso come le scarpe vuote che riempiranno le piazze, rosso come le luci che illumineranno i palazzi istituzionali, rosso come il sangue versato e rosso come la vergogna che troppe donne portano nel cuore. Ma c’è un altro colore che, ancora oggi, domina la vita di chi subisce violenza: il colore del silenzio. Ma che colore ha il silenzio? Grigio, nero. Colori cupi per un silenzio che isola, che toglie il respiro fino ad esalare.

Quando al TG, sui giornali, sui social leggiamo dell’ennesimo femminicidio o mentre urliamo i nomi delle vittime alle manifestazioni del 25 novembre, ci auguriamo che quella persona possa essere l’ultima. Ce lo promettiamo, ripromettiamo, lo giuriamo, lo speriamo, ma ogni volta non è così. Ripetutamente, ci accorgiamo che quelli non sono solo numeri, ma storie di vite spezzate. Storie di donne che avevano sogni, ambizioni, progetti e un futuro improvvisamente vanificato. In ciascuna di loro c’era una vita piena, che è stata strappata o ferita da chi – forse, avrebbe dovuto proteggerla.

La violenza comincia spesso così, quasi in punta di piedi. Una parola che ferisce, la mania di controllo che si traveste da gelosia, un limite imposto “per amore”. Poi diventa una porta chiusa, un telefono sottratto, un conto bancario svuotato, un livido nascosto da un maglione extra large. Ed è lì, nel quotidiano, che una donna inizia a scomparire agli occhi del mondo e, a poco a poco, anche a quelli propri.

Molte restano. Restano per paura, per i figli, per vergogna, per mancanza di indipendenza economica. Restano perché la società non sempre ascolta, non sempre capisce, non sempre protegge. Restano perché denunciare è un salto nel vuoto, un atto di coraggio immenso.

Sono proprio queste donne che devono necessariamente sapere che esistono centri antiviolenza, sempre in pericolo di fondi tagliati, ci sono sportelli di ascolto e associazioni attive. C’è il 112 e soprattutto il 1522, il numero nazionale gratuito antiviolenza e stalking, attivo 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno: oltre ad essere strumenti emergenziali, sono un luogo libero di ascolto e aiuto, una rete di professioniste per le donne in lotta con la violenza. Tutti devono sapere che ci sono mani tese, persone pronte ad aiutare, luoghi sicuri.

Il 25 novembre non è solo un simbolo, non è solo una data sul calendario, ma un chiaro richiamo a guardare in faccia un problema che riguarda tutti: donne, uomini, giovani, istituzioni, cittadini. E’ un invito a non voltarsi dall’altra parte e a riconoscere, finalmente, che la cultura del rispetto deve essere un impegno quotidiano. È un grido collettivo, un abbraccio simbolico a chi ha vissuto l’ombra e a chi la sta ancora attraversando.

Denunciate, allora! Denunciate anche quando la voce trema. Denunciate quando vi dicono che “non è poi così grave”. Denunciate quando pensate che non ci sia più via d’uscita. Denunciate per voi, per i vostri figli, per chi verrà dopo. Denunciate per non lasciare spazio al silenzio. Annientiamolo!

Non esiste amore che faccia male. Non esiste colpa che giustifichi una violenza. Non esiste muro che non possa essere abbattuto per fare un primo passo: chiedere aiuto. E, soprattutto, non esiste donna che non meriti di essere al sicuro, rispettata, libera. Sempre.