Attentato a Ranucci, spunta la pista albanese: un nome internazionale al centro dell’inchiesta, tra ombre criminali e ipotesi investigative sempre più inquietanti

Sigfrido Ranucci

Nell’indagine sull’esplosione avvenuta nella notte del 16 ottobre sotto casa di Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, emerge ora una nuova pista investigativa che porta lontano da Roma e attraversa l’Adriatico. A più di un mese dall’attentato, il nome su cui gli inquirenti stanno concentrando l’attenzione è quello di Artur Shehu, 58 anni, imprenditore albanese trasferito da tempo negli Stati Uniti, considerato da diverse inchieste una figura di peso della criminalità del suo Paese. Una presenza ingombrante, che torna a galla ogni volta che si parla di traffici internazionali, rapporti altolocati e ambienti mafiosi oltreconfine. Il suo nome, secondo fonti investigative, sarebbe stato segnalato anche alla Direzione investigativa antimafia, sulla base di informazioni arrivate da Valona.

A occuparsi dell’ipotesi sono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Roma, l’aggiunto Ilaria Calò e il sostituto Carlo Villani, insieme ai carabinieri del Nucleo Investigativo di Frascati e di via In Selci. È un filone ancora in fase preliminare, che richiede riscontri puntuali e verifiche incrociate, ma che oggi viene considerato meritevole di attenzione. L’elemento che avrebbe orientato gli investigatori verso l’Albania risale alla puntata di Report del 21 aprile 2024, dedicata al progetto degli hotspot per migranti realizzati in Albania nel quadro dell’accordo tra Roma e Tirana: un tema esplosivo già sul piano politico, diventato improvvisamente sensibile anche sul terreno giudiziario.

In quel servizio, intitolato “(Hot) Spot Albanese”, il nome di Shehu compare più volte. Il programma di Raitre lo descrive come narcotrafficante di primo piano, citato in indagini internazionali, con contatti che, secondo chi indaga, lambirebbero anche Cosa Nostra e la Sacra Corona Unita. A rendere il quadro ancora più denso è un altro dettaglio: sempre secondo la ricostruzione giornalistica, Shehu avrebbe donato 30 mila metri quadrati di terreno nei pressi di Valona a una fondazione guidata dal generale Fabrizio Lisi, all’epoca responsabile dell’Interpol in Albania. Una donazione definita dall’inchiesta televisiva come delicata, perché mediata dall’avvocato Enjell Agaci, segretario generale del Consiglio dei ministri albanese e figura considerata chiave nel rapporto con il governo italiano.

Non si tratta di un personaggio ignoto ai media internazionali. Nel 2021 il Miami Herald aveva dedicato un lungo reportage alla vita dell’imprenditore albanese a Miami, descrivendone la residenza, le attività e la rete di società collegate. Oggi la procura sta cercando di verificare questo profilo, confrontando le informazioni disponibili con quanto è emerso dopo l’attentato a Ranucci. Il punto di partenza è semplice: capire se, da oltreoceano, ci siano stati interessi toccati dal programma e reazioni possibili.

Le indagini, però, restano aperte anche su altri fronti. Per gli investigatori, il gesto intimidatorio non va letto in maniera isolata: negli ultimi anni, la trasmissione condotta da Ranucci ha raccontato inchieste che hanno sfiorato criminalità organizzata, truffe, infiltrazioni economiche, scenari internazionali complessi. È un mosaico in cui le piste potenziali sono molte, tutte ancora da vagliare con prudenza. L’ipotesi albanese, in questa fase, sembra però quella più concreta: sia per il contenuto della puntata, sia per gli intrecci descritti, sia per il contesto geopolitico in cui si colloca l’accordo tra Italia e Albania.

Parallelamente, i carabinieri stanno lavorando per accertare la dinamica materiale dell’attentato: chi ha collocato l’ordigno, chi lo ha innescato, se ci sono state ricognizioni preliminari e se l’azione sia stata preceduta da sopralluoghi. A inquietare ulteriormente gli investigatori c’è un dettaglio emerso nelle ultime settimane: l’estate scorsa qualcuno avrebbe tentato di introdursi nella seconda casa del giornalista, senza riuscirvi. Un evento che oggi viene messo in relazione con l’esplosione del 16 ottobre, nel tentativo di capire se esista una regia unica dietro ai due episodi.

Nel frattempo, attorno alla figura di Ranucci si stringe un clima di solidarietà, ma anche di inquietudine. Non è la prima volta che un giornalista finisce nel mirino per il contenuto delle sue inchieste. In questo caso, però, a preoccupare è l’intreccio tra televisioni nazionali, criminalità internazionale e reazioni violente a un servizio giornalistico andato in onda in prima serata.

L’ombra lunga che si proietta da Valona a Miami, passando per Roma, è solo all’inizio della sua ricostruzione. I magistrati dovranno stabilire se la pista albanese avrà un seguito concreto o se resterà, come altre ipotesi, una delle molte tracce da archiviare. Quel che è certo, per ora, è che l’attentato al conduttore di Report non è considerato un gesto isolato, né casuale. Ed è per questo che ogni passaggio, ogni collegamento e ogni possibile mandante vengono analizzati con una cura che raramente si è vista in casi simili.

La verità, se arriverà, richiederà tempo. E lavoro. E protezione.